Breve storia del fiasco toscano

F. De Pisis, Natura morta con fiasco

Alsaziana, bordolese, borgognotta, champagnotta; e ancora: renana, lirica, pulcianella, chiantigiana, albeisa. Tutti nomi di celebri bottiglie da vino diffuse in Italia e in Europa. Realizzate in vetro trasparente dalle diverse tonalità, alcune più adatte ai rossi altre ai bianchi, studiate per sopportare le pressioni delle bollicine o per affrontare lunghi viaggi, le bottiglie sono gradualmente subentrate alle anfore in terracotta e da almeno cinquecento anni fanno bella mostra di sé sulle tavole patrizie e su quelle più umili.

Fortemente legate alle tradizioni locali, le prime bottiglie risalgono al I secolo dopo Cristo, epoca in cui i maestri siriani iniziano a padroneggiare l’arte del vetro soffiato quale alternativa all’uso degli stampi.

Difficili da produrre, sicuramente eleganti, ma estremamente fragili, le bottiglie si diffondono soltanto nel Medioevo grazie alla perizia dei maestri soffiatori di Murano spronati dalla vivacità delle rotte mercantili che collegano Venezia al Medio Oriente. L’arte del vetro, allargatasi rapidamente fino a comprendere numerose località della penisola, impone il ricorso ad alcuni stratagemmi ideati per proteggere il fragili contenitori: fra questi vi è l’impagliatura, una tecnica che conferisce una personalità unica a diverse bottiglie fra le quali il popolare fiasco di vino toscano, segnalato a partire dal Trecento.

Il fiasco toscano (dal germanico flaskum) è facilmente riconoscibile per la forma ovale, il collo con il bordo ingrossato e il rivestimento in paglia di erbe palustri. Realizzato in vetro bianco o verdastro, il fiorentino presenta fasce di paglia verticali mentre quello senese cordoncini orizzontali. Vera e propria icona della cultura agroalimentare dell’Italia centrale, al fiasco non sono state risparmiate alcune umiliazioni: la reputazione di contenitore per vini dozzinali e la sostituzione, in nome del profitto, della paglia con una malinconica rete di plastica.

Se la capienza del fiasco può variare dal mezzo litro ai due litri o più, le sue parti principali restano immutabili: la bocca, il collo, il corpo o pancia, il fondo o culo.

Sinonimo di bevute genuine e generose, rassicurante presenza sul desco del contadino, eterna tentazione per gli habitués dell’osteria, il fiasco è strettamente associato a un vino toscanissimo, il Chianti, tanto che il suo collo è sovente impreziosito dal leggendario “gallo nero”; ma la popolarità di questo simpatico bottiglione va ben oltre.

In un celebre affresco del Ghirlandaio (1448 – 1494) una giovinetta trasporta, stretti al polso, due fiaschi impagliati forse con la sala, un miscuglio di erbe palustri come la tifa e il carice usate un tempo anche per imbottire i materassi. Nel “Riposo durante la fuga in Egitto” di Caravaggio (1571 – 1610) un capiente fiasco giace ai piedi di Giuseppe; Giovanni Boccaccio (1313 – 1375) associa il fiasco al “vino vermiglio” e fra gli estimatori del manufatto vi sono Leonardo da Vinci, Michelangelo e Botticelli.

Nel 1574, nel Granducato, un fiasco di vino o d’olio equivale a 2,280 litri; soffiato nelle vetrerie di Empoli e della Valdelsa, rivestito dalle fiascaie, artigiane esperte nella lavorazione delle erbe raccolte nelle paludi adiacenti all’Arno, il fiasco destinato al mercato estero viene decorato con una fascetta tricolore un po’ come si fa ancora oggi con i sigari toscani.

Fra i numerosi segni lasciati dal leggendario bottiglione impagliato nel folclore meritano un cenno l’espressione “vestire un fiasco”, ovvero non far nulla di concreto e “levare il vino dai fiaschi”, l’unico modo per chiarire i dubbi una volta per tutte.

La versatilità dei fiaschi si coglie appieno osservando le caratteristiche immagini dell’archivio Alinari nelle quali i carrettieri chiantigiani si cimentano in una ardita sfida contro le leggi di gravità caricando all’inverosimile i loro “barrocci” con centinaia di bottiglioni in apparente precario equilibrio.

Svuotato del prezioso contenuto e spogliato della “stiancia”, la paglia, il il fiasco si trasforma in un prezioso utensile da cucina: riempito di acqua salata, fagioli, salvia, aglio e olio, tappato con della stoppa e messo nelle braci del forno subito dopo la cottura del pane, è un eccellente alternativa alla più conosciuta pentola di coccio.

Una ricetta semplice, quella dei fagioli al fiasco, che richiede molta pazienza e altrettanta cautela, pena l’insuccesso. Il rischio è fare la fine del povero Domenico Biancolelli, in arte Dominique, attore bolognese vissuto nel Seicento. Il comico, nei panni di Arlecchino, pare abbia improvvisato una farsa ispirandosi al fiasco; il pubblico non gradì lo spettacolo che si trasformò in una débâcle talmente imbarazzante da lasciare una traccia indelebile nel gergo teatrale in cui, da allora, fare fiasco equivale a fallire miseramente.

(Autore: Marcello Marzani)
(Foto: Wikipedia)
(Articolo di proprietà di Dplay Srl)
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