Sono molte le persone che durante il lockdown hanno risentito di traumi psicologici dovuti alla chiusura prolungata nelle proprie abitazioni: le libertà sono state messe in dubbio e l’isolamento è stata l’unica arma disponibile per combattere questo virus.
Un bacio, un abbraccio ma anche una semplice stretta di mano sono stati catalogati come veicoli di trasmissione del Covid-19 e questo ha stravolto il modo di socializzare e di rapportarsi con le altre persone.
Molti genitori lamentano un cambiamento nella socialità dei propri figli, restii al voler uscire di casa anche solo per giocare con altri coetanei. Si tratta di una situazione che solamente a gennaio pareva impensabile e che ora, a poche settimane dall’inizio dell’anno scolastico, spaventa le famiglie.
Secondo il dottor Nicola Michieletto, direttore dell’Unità operativa complessa infanzia, adolescenza e famiglia dell’Ulss 2, distretto di Pieve di Soligo “la riapertura delle scuole e il fatto che i bambini si siano abituati a stare a casa risulta essere un problema di continuità tra scuola, bambini e genitori, che va ritessuto lentamente senza far finta che non sia successo nulla e senza illudersi che alla ripresa sia tutto come prima: sia la parte ludica che quella dell’apprendimento dovrà essere nuovamente stimolata”.
Uno degli aspetti fondamentali è che insegnanti, pedagogisti e, nel caso siano necessari, anche gli psicologi aiutino la classe a parlare non solamente di ansie e paure, elaborando così il momento che hanno vissuto, ma anche delle situazioni positive che hanno sperimentato perché, come conferma Michieletto, “non c’è solamente negatività in quest’esperienza ma abbiamo scoperto molte cose importanti, come il rapporto con la famiglia e con la natura”.
“È fondamentale – continua – che i genitori aiutino la ripresa scolastica parlando ai bambini in modo semplice, ricordando loro il ritmo, la consuetudine, la routine, ma soprattutto il piacere di incontrare nuovamente i compagni e gli insegnanti. Bisogna dir loro anche tutto ciò che li rassicura, citando la necessità di rispettare le accortezze e le indicazioni ma senza il tono emotivo della tragedia o della fine imminente”.
Anche i servizi dell’età evolutiva si sono trovati a dover operare in una situazione nuova: le sedute, che prima avvenivano di persona, sono state effettuate tramite videochiamate. Questo ha permesso di avvicinare tutti quei giovani che prima, per imbarazzo o paura del giudizio, evitavano di chiedere aiuto.
“L’ambito scolastico – continua lo psicologo – è una delle agenzie educative più importanti per lo sviluppo dei bambini e dei ragazzi, a volte anche più della famiglia e della società. La didattica frontale, quella che viene normalmente effettuata nelle scuole, risulta spesso con molte falle, in quanto le neuroscienze hanno dimostrato come l’acquisizione dei concetti sia fortemente legata all’intelligenza emotiva e comporti un apprendimento maggiore e in minor tempo solamente quando si lega a degli aspetti affettivi”.
“La scuola – conclude – si trova a dover incentivare una serie di modalità di insegnamento che stimolino la creatività, il gioco e tutto quello che ha a che fare con la voglia di conoscere: insegnanti e dirigenti scolastici sanno che questo è il metodo giusto di insegnamento, la cosa più difficile sta nel coniugarli con quella che è la rigidità dei protocolli scolastici”.
Una situazione strana quella che anche la società dei più piccoli sta vivendo, storicamente unica, ma che per la scuola, come per altri settori, rappresenta un momento di svolta per cercare di modernizzare anche l’insegnamento attraverso nuovi stimoli e nuove tecnologie.
(Fonte: Simone Masetto © Qdpnews.it).
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