“Donne e arte”: viaggio nel mondo del femminile, attraverso le opere creative. L’incontro al Museo della Battaglia

Pienone di pubblico all’incontro “Donne e arte. La forza della volontà”, organizzato nell’aula civica del Museo della Battaglia di Vittorio Veneto (piazza Giovanni Paolo I).

L’appuntamento, a ingresso libero, è stato organizzato dalla città di Vittorio Veneto e dal Cav (Centro antiviolenza) dello stesso Comune.

A condurre questo viaggio tra le donne artiste, dal passato a oggi, è stata l’assessore alla Cultura Antonella Uliana, dopo un’introduzione da parte dell’assessore al Sociale e Pari Opportunità Antonella Caldart.

Quest’ultima ha evidenziato quanto esista una rete territoriale di supporto a coloro che subiscono violenza: soltanto il Centro antiviolenza vittoriese ha seguito 120 persone in un anno.

Uliana, da parte sua, ha sottolineato quanto la storia delle donne artiste vada di pari passo con il percorso per l’emancipazione della donna.

La galleria di donne e di opere femminili riproposte da Antonella Uliana, in effetti, ha immerso il pubblico in quelle che sono state (e sono tuttora) le difficoltà che hanno incatenato il mondo femminile.

“Le donne hanno dimostrato di avere capacità in misura maggiore rispetto all’uomo, ma non hanno mai avuto la possibilità di esprimere le proprie potenzialità – ha affermato – Non c’è memoria delle donne artiste, almeno fino al 1500 ma, in realtà, la pittura nasce da quello che è un gesto femminile“.

Tra i nomi fatti dall’assessore c’è quello di Artemisia Gentileschi (1593-1653), figlia di un pittore e artista in un’epoca in cui esistevano soltanto tre tipologia di donna: la suora, la sposa e la prostituta. “Non era contemplata la figura della pittrice”, come ha confermato Uliana.

Per Artemisia (violentata da un garzone della bottega paterna e costretta a un matrimonio riparatore dopo la sua denuncia) la pittura divenne l’unica risposta alla violenza ed espressione di una volontà di rivalsa.

Il viaggio nel mondo delle donne artiste è proseguito, facendo un balzo verso l’Ottocento, periodo in cui l’Accademia di Belle Arti era interdetta alle donne, quando la frase “sicuramente la tecnica è buona, peccato che sia una donna” era molto frequente. Fino ad arrivare al profilo di Camille Claudel (1864-1943), sorella del diplomatico Paul Claudel.

Amante dell’artista Auguste Rodin, Camille venne abbandonata da quest’ultimo, interessato a contrarre il matrimonio con un’altra donna. La scultrice finì in manicomio, abbandonata anche dalla madre e dal fratello. Anche la pittrice Séraphine de Senlis (1864-1942) finì i suoi giorni in manicomio, divenuta un’artista geniale ma “smarrita perché emarginata”. Serva tuttofare, la pittrice fece i lavori più umili (da lei definiti i “lavori neri”), tanto da non avere neppure la possibilità economica di comprarsi i colori per dipingere.

Da lì iniziò a produrli da sola, con la terra, l’olio sottratto ai lumini in chiesa, i succhi delle piante e il sangue delle macellerie: l’arte fu per lei un modo per uscire da una realtà difficile.
Frida Kahlo (1907-1954) utilizzò la pittura, invece, per parlare di se stessa e delle proprie vicende esistenziali: l’autoritratto fu per lei un “diario per immagini”.

La “Ragazza verde” (1931), realizzata dall’artista polacca Tamara de Lempicka (1898-1980), risulta essere invece il ritratto dell’emancipazione femminile.

La violenza patita dalle donne è il focus anche di opere e installazioni di artiste contemporanee del Guatemala (con la testimonianza performativa della violenza da parte dell’esercito guatemalteco sulle donne incinte), afghane, del Kosovo, dell’Ucraina, con “l’ossessione della testimonianza della realtà cruda” e un concetto di arte come “mezzo di informazione e di protesta”.

Tra queste immagini spicca anche una Madonna con il burqa, un messaggio alle religioni che “non devono affidare alla donna l’unico ruolo di essere madri”, mentre la ferocia dell’uomo è rappresentata dalla scultura di una Vergine Maria crocifissa.

Opere a carattere religioso sono al centro della produzione dell’artista e attivista ucraina Oksana Šačko, una delle fondatrici del movimento Femen: costretta a lasciare il proprio Paese e a rifugiarsi in Francia, si suicidò nel suo appartamento, dove nel 2018 venne trovata impiccata a soli 31 anni.

In questo percorso, pertanto, è emerso come “l’arte sia stata intesa come forma di coscienza collettiva”, in un “mondo in cui le donne non devono più essere assoggettate e offese”.

(Foto: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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