“Manca il nesso di causalità per provare che la morte di Paolo Vaj sia stata un omicidio. Per questo Patrizia Armellin e Angelica Cormaci devono essere assolte”.
Questa la conclusione dell’arringa degli avvocati Marina Manfredi e Stefania Giribaldi, legali della 57enne e dell’amica 27enne accusate dell’omicidio volontario premeditato del 56enne, ucciso la notte del 18 luglio 2019 nella casa di via Cal dei Romani a Vittorio Veneto.
Il pubblico ministero Davide Romanelli aveva chiesto per la Armellin la condanna all’ergastolo, mentre per l’amica 14 anni di reclusione, riconoscendole le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti.
Richiesta respinta dagli avvocati della difesa: “Per condannare due persone, senza ragionevole dubbio – hanno spiegato -, serve il nesso di causa tra la loro condotta e la morte della vittima. Nesso che in questo caso manca. La procura è partita dalle spontanee dichiarazioni rese dalle imputate nell’immediatezza del fatto e su quello ha costruito il movente e la premeditazione”.
Secondo l’accusa, le due donne avrebbero agito per un movente economico: le polizze da 400 mila euro che Vaj aveva intestato a Patrizia. Denaro che la Armellin si era convinta avrebbe perso ritenendo che Vaj volesse toglierla dai beneficiari.
Per questo le due amiche, dopo aver avuto una violenta colluttazione con il 56enne, lo avrebbero ucciso per schiacciamento toracico. Una ricostruzione che la difesa ha cercato di smontare: “A smentirla sono le perizie mediche che dimostrano come non vi sia evidenza scientifica di asfissia o di schiacciamento toracico – hanno continuato Manfredi e Giribaldi -. Non lo sono le lesioni costali che sono riferibili a un incidente che la vittima aveva avuto una settimana prima, e lo dimostra il fatto che non hanno lesionato alcun organo interno. Non vi sono riscontri oggettivi a questa causa di morte. L’unica alternativa è quindi quella che il nostro consulente, il dottor Ilan Brauner, ha sostenuto fin dall’autopsia, e cioè che Paolo Vaj ha avuto una crisi epilettica alla quale è seguito un arresto cardiaco”.
La difesa non è voluta entrare nel merito del movente economico e della premeditazione che, secondo la procura, sarebbe provata da numerosi messaggi che le imputate si erano scambiate fino alla notte del delitto su WhatsApp e Messenger. Conversazioni nelle quali Patrizia avrebbe descritto Paolo come un violento che la picchiava, convincendo Angelica che andava eliminato.
“Parlare di movente e premeditazione diventerebbe una suggestione – hanno concluso -. Qui il punto fermo è uno, non c’è un nesso di causa che provi l’omicidio volontario. E neppure il preterintenzionale. Perché è vero che quella notte ci fu una lite, avvenuta in una stanza della casa e che lì c’era stata una colluttazione per legittima difesa. Ma quell’azione si è interrotta. Quanto successo nella seconda stanza, dove loro credono di averlo soffocato con il cuscino, è un’ipotesi smentita dallo stesso medico legale della procura. Per questo chiediamo una sentenza di non colpevolezza”.
Si torna in aula l’11 marzo per la sentenza.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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