Esistono storie del passato che, nonostante il progredire della tecnologia, meritano di essere tramandate, anche per il fascino che le circonda.
Si tratta della storia di zattieri e “menaràs”, due figure che facevano parte di una vera e propria filiera del legname che univa i boschi del Cadorino, con l’area lagunare di Venezia, zona in cui c’era necessità di legno utile alle flotte e alle fondamenta dei palazzi.
Queste professioni, quindi, nacquero durante il periodo della Serenissima, per poi estinguersi tra gli anni venti e quaranta del secolo scorso: l’ultima zattera partì infatti da Perarolo (Belluno) nel 1920, mentre l’ultimo menaràs operò nel 1945.
Un capitolo di storia locale (e regionale) che è stato al centro di un convegno pubblico, dal titolo “Fameja dei zatèr e menadàs de la Piave”, tenutosi venerdì alla biblioteca civica di Vittorio Veneto.
Ad aprire letteralmente queste pagine di storia al pubblico sono stati Arnaldo Olivier, Giuseppe Vazza e Sergio Furlan dell'”Associazione storico culturale dendrofori e zattieri II-XX secolo”, una realtà che opera per tenere viva la memoria di questo patrimonio storico, considerata la progressiva scomparsa di coloro che potevano dare una testimonianza orale.
A queste storie, infatti, era collegata tutta una serie di proverbi e di detti popolari.
Gli zattieri (il cui santo protettore era San Nicolò) erano coloro che si occupavano del trasporto del legname, assemblando tra loro i tronchi con le “soche”, ovvero i rami di nociolo tagliati al calar della luna.
Questi tronchi venivano a formare delle zattere, che venivano condotte lungo il Piave (o la Piave, come veniva chiamato il fiume molto tempo fa). Potevano essere costruite fino a dieci zattere al giorno.
Lungo il fiume erano situati diversi impianti di segherie, destinati alla lavorazione e preparazione del legname stesso. Era importante che i tronchi arrivassero tutti integri a destinazione, nelle segherie.
Segherie che venivano costruite in posti strategici: infatti nessuna di esse finì sott’acqua.
I menaràs erano invece coloro che controllavano il flusso dei tronchi liberi (per questo utilizzavano delle aste con un piccolo uncino), rigorosamente segnati con simboli ad hoc, che indicavano la loro appartenenza.
Nonostante la poeticità di queste figure, si trattava comunque di un lavoro pesante, pericoloso, con il rischio per i lavoranti di incorrere in incidenti, anche mortali, o di contrarre delle polmoniti.
“Un lavoro che ha dato tanto al territorio”, hanno commentato i relatori e che, soprattutto, veniva condotto in ogni tipo di condizione atmosferica.
“Facendo un paragone con i giorni nostri, le zattere erano i tir, mentre la Piave era la ‘zatterstrada’ – hanno spiegato i relatori – Inoltre, i segni distintivi sui tronchi erano una sorta di ‘Qr Code'”.
Le zattere, però, fungevano anche da mezzi di trasporto, su cui potevano salire e viaggiare sia persone che animali. Proprio per questa funzione si trovano dei riferimenti in varie opere letterarie, fin dalla classicità.
Una filiera che, se oggi crea tanta meraviglia nel raccontarla, in passato rappresentava un indotto enorme.
(Autore: Arianna Ceschin)
(Foto: Arianna Ceschin. Video: archivio Qdpnews.it)
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