Secondo la Corte Costituzionale, l’onere è dello Stato e non delle Regioni.
L’emergenza del Coronavirus ha notevolmente inasprito il conflitto politico tra Regioni e Governo nazionale sulla competenza in materia sanitaria, sorto all’indomani della Riforma del Titolo V della Costituzione. Come noto, la L. 3/2001 era intervenuta sull’art. 117 della Carta Costituzionale attribuendo allo Stato la definizione, su tutto il territorio nazionale, dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, tra i quali rientra sicuramente il diritto alla salute, lasciando alle Regioni l’organizzazione dei servizi ai cittadini, nonché il rispetto degli standard e dei modelli statali. È la cosiddetta potestà concorrente, in cui la competenza legislativa regionale è vincolata a muoversi all’interno dei principi fondamentali enucleati, per ogni singola materia, dalle leggi dello Stato.
Tale ripartizione tra normativa di principio e di dettaglio, apparentemente netta, veniva messa a dura prova dall’infuriare del virus, specie in alcune Regioni del Nord come la Lombardia, dove peraltro si assisteva a un disdicevole rimpallo di responsabilità tra Roma e Milano dinanzi ai numerosi decessi provocati dal contagio. Ma la querelle proseguiva in altre aree del Paese fino allo strappo operato con la L. 9.12.2020, n. 11 della Val d’Aosta che, in spregio alle disposizioni governative, disponeva la riapertura di bar, ristoranti e piste da sci.
Con una decisione rapidissima, presa in sole 2 settimane, la Corte Costituzionale ha dato ragione al Governo centrale stabilendo che la gestione delle politiche per affrontare la pandemia attiene alla “profilassi internazionale” e non alla “tutela della salute”.
Ciò significa che, in base all’art. 117 della Costituzione, si tratta di una materia di competenza esclusiva dello Stato e non concorrente con le Regioni. Inoltre, per i giudici della Corte Costituzionale, la questione pone il rischio di un grave e irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico e ai diritti dei cittadini. Infatti, il provvedimento regionale impugnato, sovrapponendosi alla normativa statale, espone la collettività alla concreta possibilità che il contagio aumenti di intensità a causa dell’adozione di misure meno rigorose.
Non solo, “le modalità di diffusione del Covid rendono qualunque aggravamento del rischio, anche su base locale, idoneo a compromettere, in modo irreparabile, la salute delle persone e l’interesse pubblico ad una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia, peraltro non preclusiva di diversificazioni regionali nel quadro di una legale collaborazione”.
Quindi una risposta differenziata a livello locale è astrattamente possibile, ma sempre nel rigido rispetto delle regole e norme statali.
La chiarezza della Corte Costituzionale, unita al fatto che il nuovo Governo è caratterizzato da una maggioranza molto ampia, inducono a sperare in una gestione unitaria ed efficiente delle politiche di contrasto alla pandemia, tanto più necessaria in questa fase delicatissima di distribuzione del vaccino.
Autore: Giovanni Pugliese – Sistema Ratio Centro Studi Castelli Srl
A chi tocca gestire la pandemia

