Non ho molti dati a disposizione, ma solo sensazioni. Ho la netta impressione che si sia innescata una fase di disaffezione rispetto all’impresa, una specie di processo di secolarizzazione.
Fino a non molto tempo fa erano in molti a notare come fosse cambiato l’atteggiamento dei lavoratori nei confronti dell’impresa: non più realtà antagonista, ma interiorizzata, fatta propria, in un clima che vedeva come novità una partecipazione ai suoi destini, un coinvolgimento quasi spontaneo nelle sue strategie, il riconoscimento di obiettivi coincidenti. Non dappertutto e non con la stessa intensità, ma si percepiva un cambiamento radicale nei rapporti tra direzioni e dipendenti.
Non so se sia stato il periodo del Covid o se si siano combinati diversi fattori, ma l’impressione ora è quella di una divaricazione di intenti, di un dialogo interrotto, di una condivisione fallita. Di una disaffezione.
Nell’editoriale di maggio mettevamo in luce il fenomeno dell’abbandono del lavoro e della ricerca nell’impostazione di una modalità diversa della propria vita. Sembra che il fenomeno si stia consolidando e ampliando con la ricerca anche di nuovi contesti normativi.
In parallelo leggo di una sperimentazione inglese che coinvolge 70 imprese e 3.300 lavoratori improntata alla formula 100/80/100: 100% di salario, 80% di ore settimanali, 100% di produttività. Il tentativo, insomma, di introdurre la settimana cortissima a parità di stipendio e con la garanzia dei medesimi risultati in termini di produzione.
Non è il primo esperimento in tal senso, poiché già in Islanda si era condotta con successo una sperimentazione simile che ha portato alla codificazione delle modalità lavorative della settimana di 4 giorni. E non sarà l’ultimo: già si preparano Spagna, Irlanda, USA, Australia e Nuova Zelanda.
La spinta verso un nuovo modo di intendere non solo il tempo di lavoro, ma più in generale il tempo di vita, è l’ambizione di pervenire a un “triplo dividendo”: più entusiasmo, maggiori motivazioni, meno pendolarismo. Tutti fattori che porterebbero a incrementare i benefici sia dell’impresa che dei dipendenti.
Che sia questa la chiave per ritrovare uno spirito di affezione, una ritrovata proficua collaborazione, un sentimento di appartenenza?
“I lavoratori sono usciti dalla pandemia con un’idea diversa di qualità della vita”, dice Joe O’Connor, leader del progetto inglese monitorato dalle Università di Cambridge e di Oxford che studieranno gli effetti sui livelli di stress, sulle aspettative, sui ritmi di lavoro, sulla soddisfazione finale. Primo nucleo da espandere di un diverso approccio ai tempi di vita? Vedremo.
Intanto, noto che il risveglio dal Covid (brusco risveglio, visti gli orizzonti di guerra e le fibrillazioni economiche e finanziarie) porta con sé la voglia di un diverso atteggiamento nei confronti della vita, un rimescolamento dei valori che coinvolge l’impresa, i suoi assetti e le sue strategie, il modo di impiegare al meglio la passione e la professionalità dei propri dipendenti e di innovare i prodotti per un mercato nuovo, dove l’ampliamento del tempo libero cambierà i modelli di consumo.
E mi sembra strategico pensare modalità nuove per ritrovare una sintonia di intenti tra tutte le componenti del mondo produttivo: sarebbe senza dubbio un grande fattore di successo.
(Fonte: Anselmo Castelli).
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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