Allattamento a rischio per la lavoratrice madre

Per allattamento a rischio si intende l’allattamento svolto in situazioni che possono compromettere la salute della mamma lavoratrice. Occorre quindi valutare se la mamma, in costanza di rapporto di lavoro, è a contatto con agenti fisici, biologici e chimici come radiazioni, rumori forti, sostanze chimiche, tossiche ecc.

I maggiori fattori di rischio sono:

1. agenti fisici. Se la neomamma è esposta a radiazioni, a rumori molto forti (sopra i 90 decibel) oppure a forti sollecitazioni termiche, può essere tutelata nei mesi dopo il parto. La neomamma può fruire dell’allattamento a rischio anche se è sottoposta a vibrazioni come accade sui treni, sulle navi;

2. agenti biologici: Se la neomamma lavora in reparti di malattie infettive, mentali o nervose, oppure se lavora in allevamenti di bestiame ha la possibilità di fruire di allattamento a rischio;

3. agenti chimici. Se la neomamma è esposta ad agenti chimici, gas, polveri, al mercurio e ai suoi derivati, ai medicamenti antimitotici, ai pesticidi, alle sostanze tossiche o nocive può fruire della tutela legata all’allattamento a rischio.

Si pensi ad esempio ad una lavoratrice con svolge la mansione di educatrice all’interno di un asilo nido a contatto con bambini piccoli che possono far contrarre malattie infettive.

settori lavorativi che possono essere definiti a rischio sono quindi quelli:

– industriali, per la possibile esposizione ad agenti chimici o biologici;

– della sanità, rischi legati ad agenti patogeni e altri rischi;

– estetico e parrucchiere, contatto con agenti chimici;

– alberghiero e domestico, per la possibilità di posture obbligate o di contatto con agenti chimici;

– dell’agricoltura, ristorazione e commercio alimentare, assumere posture obbligate, di restare a lungo in ambienti troppo caldi o a contatto con vari agenti;

– il settore scolastico.

Per le lavoratrici impegnate in questi settori la tutela dell’allattamento a rischio, è previsto per un periodo di 7 mesi dopo il parto nel caso in cui non possa essere adibita a mansioni differenti.

Entro 30 giorno dal parto la mamma deve presentare al datore di lavoro il certificato di nascita del figlio. Se, come predetto, non è possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni, al termine dei 3 mesi di congedo di maternità (4 mesi se la lavoratrice ha lavorato fino all’ottavo mese di gravidanza) la mamma può richiedere l’astensione dal lavoro fino al 7° mese alla Direzione Provinciale del Lavoro.

Durante l’astensione la retribuzione è pari al 100% erogata dal datore di lavoro e poi da quest’ultimo recuperata come credito in denuncia UniEmens.

(Autrice: Silvia Genta – Sistema Ratio)
(Foto: archivio Qdpnews.it)
(Foto di proprietà di Dplay Srl)
#Qdpnews.it riproduzione riservata

Total
0
Shares
Related Posts