Non c’è Ministro che non intervenga sul contratto a tempo determinato anche se non è facile centrare un obiettivo comune quando le visioni delle parti sono contrapposte. È utile però ricordare che l’elasticità del termine è limitata da precisi vincoli normativi che, contestualmente, tutelano il dipendente. Per decenni si è assistito a un nutrito contenzioso in cui la causale invocata dal datore di lavoro veniva sempre impugnata dall’interesse opposto del lavoratore licenziato al termine.
Su questo era già intervenuto l’art. 19 D.Lgs. 81/2015 (modificato dall’art. 1 D.L. 87/2018) che ha introdotto l’acausalità per i contratti di durata iniziale non superiore a 12 mesi, per qualunque mansione e per normali necessità aziendali, ma soprattutto attraverso l’autonoma valutazione del datore di lavoro, svincolata da ogni giudizio inerente i criteri della oggettività tecnico organizzativa. Questo potrebbe rivelarsi un boomerang se si dimentica che l’apposizione del termine andrebbe sempre ponderata sulla base di esigenze temporanee e non strutturali dell’azienda.
Il Decreto Lavoro (D.L. 48/2023 convertito dalla L. 85/2023) ha confermato la non necessità della causale per i primi 12 mesi di rapporto anche se, e questa è la novità, in questo periodo siano intervenuti dei rinnovi o se il lavoratore provenga da un rapporto di lavoro in somministrazione (che prima era assimilato a un rinnovo). La causale rimane confermata solo dopo i primi 12 mesi (ed entro il limite assoluto dei 24 mesi) prevedendo che le ragioni giustificatrici del termine siano legate a temporanee esigenze produttive, organizzative o tecniche previste dalla contrattazione collettiva dotata dei requisiti di cui all’art. 51 D.Lgs. 81/2015. In mancanza, le causali possono essere individuate tra datore di lavoro e lavoratore mediante la stipula di un contratto individuale, agevolazione concessa però solo fino al 30.04.2024.
Ora, una domanda sorge spontanea: eccetto la sostituzione di lavoratori assenti, quale altra causale sarà così solida da giustificare la continuazione a termine di un rapporto che è già in corso da 12 mesi? L’apertura a nuovi contenziosi è un rischio da non sottovalutare, considerando che la sanzione in caso di accertata illegittimità può essere anche la trasformazione del rapporto in un tempo indeterminato. Nel dubbio, meglio optare per contratti differenti cogliendo le agevolazioni offerte dal mercato del lavoro.
È utile ricordare che l’apposizione di una scadenza è un impegno inderogabile per entrambe le parti a prescindere che sia venuta meno l’esigenza originaria. Nel caso di licenziamento o dimissioni ante tempus (che non siano per giusta causa) scatta rispettivamente l’obbligo in capo al datore di lavoro recedente di corrispondere un’indennità al lavoratore e una possibile richiesta di risarcimento danni al dimissionario poiché il mancato rispetto del periodo concordato potrebbe creare disagi aziendali importanti.
Tutto questo non significa che l’impresa non debba cogliere la flessibilità che deriva dal contratto a termine ma deve rispettarne le condizioni per evitare che diventi un mero strumento di turnover del personale. Tenuto anche conto che, con le difficoltà esistenti oggi nel reperire figure qualificate, sarebbe utile considerarlo un vero e proprio investimento in risorse umane per stabilizzare immediatamente quei lavoratori a termine che si siano dimostrati particolarmente capaci.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
Autore: Roberta Jacobone – Sistema Ratio Centro Studi Castelli