Con le parole possiamo diventare “iene” o “colombe della pace”. Raccontiamo la nostra storia e la nostra visione del mondo. Sono la “benzina” che muove il motore di ogni azione, le “vele” che sospingono la nave che ci porta a raggiungere obiettivi. Eppure, a pensarci bene, spesso attribuiamo al dire quotidiano un senso di avversione: “Le parole sono pietre”; “Sono frecce che una volta lanciate non tornano indietro”; “Ferisce più una lingua tagliente che una spada” e addirittura, ci avvertono che per ottenere giustizia, tutto quello che diremmo, potrebbe ritorcersi contro.
Normalmente, quando riferiamo del nostro modo di parlare, ci muoviamo su un terreno impervio.
Anche nel lavoro abbiamo spesso paura di essere fraintesi e, così, preferiamo il silenzio. Avvertiamo quasi un senso di disagio, perché potremmo pentirci delle frasi dette e di quelle taciute. L’agire diventa incerto perché è come se ci muovessimo in un campo minato, prestando attenzione a non calpestare una zolla sbagliata e saltare in aria. Il professionista, oggi più che mai, vista l’esposizione mediatica, nell’interazione con gli stakeholder , deve prestare molta attenzione a dosare e/o pesare ogni singolo vocabolo. Una frase può portare al cambiamento atteso, o viceversa, a quello indesiderato e questo significa che ci sono termini che possono convincere, avvicinare e altri che, invece, allontanano. Diventano culla per dormirci sopra o fiamme che ci bruciano dentro per la rabbia.
Oggi, descriverò tre parole che non hanno “controindicazioni” o “effetti collaterali”.
1. La prima è il pronome “tu”. Fateci caso, siamo molto più affezionati all’io perché siamo esseri umani e come tali concentrati su noi stessi. L’uso del TU, dirotta il focus sull’interlocutore, ricordandoci di essere professionisti pagati per risolvere i problemi dell’assistito e confrontarci con le sue aspettative. Questo pronome indica una parità di ruoli nella relazione e la confidenza che ne deriva ci farà sentire più vicini come se il “tu” fosse l’alter ego del nostro “io”. Se vogliamo un’alternativa senza rischiare di sbagliare, chiamiamo il cliente con il suo nome perché è il suono più piacevole.
2. Un’altra parola che porterà benessere nell’ambito lavorativo è “ora”. Dovendo risolvere un problema urgente non c’è termine più efficace di questo. Non ammette deroghe e arbitrarie interpretazioni. Siamo travolti da un’esigenza che necessita di un’azione e attenzione immediata? Sostituiamo le consuete richieste tipo: “Nei prossimi giorni” – “in settimana” – “al più presto” – “rapidamente” – “il prima possibile”, con questa parola breve e potente: ora!
3. L’ultima voce è “connessione”. Oggi, come mai nel passato, passiamo più tempo a connetterci con gli altri e quindi se vogliamo “portarli dalla nostra parte” facciamoli sentire “connessi”. È magica perché non solo siamo continuamente connessi ma “viviamo in rete”. Chiediamo ai collaboratori e ai clienti di “connettersi e unirsi a noi” e saranno al nostro fianco.
L’uomo nell’interazione umana ha bisogno di farsi capire ma non solo, necessita di comprendere l’altro e queste semplici parole ci saranno di grande aiuto. Facciamo però attenzione che queste hanno un inconscio e quindi arrivano al cervello di chi ci ascolta. Con il nostro parlare accediamo ai loro ricordi e se questi saranno rammenti spiacevoli, sarà un disastro.
Don Milani diceva: “Chiamo uomo chi è padrone della propria lingua perché la parola è la chiave fatata che ti apre ogni porta” . Per concludere, come ci ha insegnato l’esperienza buia del Covid-19, con semplici termini possiamo infondere speranza e fiducia nel futuro, condividere e sentirci vicini agli altri. In tre parole possiamo trovare la forza che ci serve per affrontare momenti difficili perché, alla fine: “Andrà tutto bene”.
Autore: Antonio Di Giura – Sistema Ratio Centro Studi Castelli