Lo sciopero prediletto dai sindacati italiani, di fatto, arreca pochi benefici ai lavoratori e tantissimi disagi alla collettività.
Nei giorni scorsi ha tenuto banco su tutti gli organi di informazione il braccio di ferro tra Governo e sindacati a causa di una serie di scioperi proclamati nel settore dei trasporti. Lo scontro ha raggiunto il suo culmine con l’ordinanza di precettazione firmata dal Ministro delle Infrastrutture nella giornata del 17.11.2023 che ha scatenato le ire dei segretari delle organizzazioni promotrici dello sciopero, vale a dire CGIL e UIL, ma le agitazioni sono proseguite nei giorni successivi con la partecipazione di numerose sigle autonome.
La materia in questione è regolata dalla L. 146/1990, nata con l’intento di contemperare il diritto di sciopero dei lavoratori che operano nei settori dei servizi pubblici essenziali, con le esigenze della controparte datoriale.
Tali servizi sono definiti essenziali poiché inerenti a diritti dei cittadini di rilevanza costituzionale (non solo la libertà di circolazione ma, ad esempio, il diritto all’assistenza, all’istruzione, alla salute, ecc.), la cui regolamentazione è volta a garantire l’erogazione di un livello di prestazione ritenuto indispensabile.
I soggetti interessati da uno di questi settori, nel proclamare uno sciopero, hanno l’obbligo di comunicare con un preavviso di 10 giorni:
l la durata;
l le modalità di attuazione;
l le motivazioni di astensione collettiva dal lavoro.
La comunicazione deve essere inviata non solo all’Amministrazione o all’impresa che eroga il servizio, bensì anche a un apposito ufficio presso l’Autorità competente a adottare l’eventuale provvedimento di precettazione. Quando, infatti, sussiste il pericolo di un pregiudizio grave e imminente all’esercizio di uno dei citati diritti, per l’appunto derivante dall’interruzione di un servizio pubblico essenziale legata allo sciopero, il Presidente del Consiglio dei Ministri, o un Ministro da lui delegato, o ancora il Prefetto se la protesta ha una dimensione locale, invitano le parti a desistere dai comportamenti che determinano la situazione di pericolo.
È anche previsto, a tal fine, l’esperimento di un tentativo di conciliazione tra le parti che, in caso di esito negativo, determina in capo all’autorità preposta, l’adozione, non meno di 48 ore prima dell’astensione collettiva, di un’ordinanza contenente le misure necessarie a prevenire qualsiasi pregiudizio.
Se si guarda al fenomeno degli scioperi in generale, l’Italia presenta un’incidenza non particolarmente rilevante: circa il doppio che in Gran Bretagna, ma la metà di Francia e Spagna. Tuttavia, l’esperienza italiana presenta una connotazione del tutto sui generis, nel senso che oltre i 2/3 delle astensioni dal lavoro colpiscono il solo settore dei trasporti pubblici, dove però i danni prodotti alla parte datoriale sono ridotti al minimo. Mentre infatti gli abbonamenti non si riducono, si abbattono notevolmente i costi per salari, energia, carburante, usura dei mezzi. A farne le spese sono, insomma, i viaggiatori e la collettività.
Ma forse è proprio questo carattere pervasivo e questa capacità di incidere sulla vita quotidiana delle persone, a rendere lo sciopero in questione di gran lunga il più gettonato, anche perché, impedendo a molti lavoratori di recarsi al lavoro, esso funge da volano all’astensione in altri settori. Resta da chiedersi se l’uso distorto di uno strumento di lotta sindacale così importante, alla lunga non determini una perdita di prestigio per il sindacato e una divaricazione incolmabile tra interessi dei lavoratori e interessi della collettività.
Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Giovanni Pugliese – Sistema Ratio Centro Studi Castelli