Fenomenologia dello studio professionale: Calimero

È il terzo dei nostri sei personaggi in cerca d’autore: la persona affetta da “lamentosi cronica”. Non va bene se piove e se esce il sole è ancora peggio. Ma il suo è un inno alla sconfitta personale.

Se in montagna fa freddo, al mare si muore dal caldo. Il lagnoso troverà sempre un motivo per piangersi addosso. Chi fa del lamento la propria vocazione è vittima di un duplice pregiudizio: 1) crede che nessuno riesca a capirlo/a; 2) pensa di vivere in un mondo ostile. A nessuno di noi piace farsi tritare da un cliente, da un familiare o un collega che spacca il capello in quattro, eppure siamo in tanti a collezionare, nostro malgrado, mugugni, brontolii e rimproveri continui. C’è una realtà: questi soggetti sono affetti da quella che io definisco cecità funzionale. Non vedono il problema.

E voi, vi piangete addosso? Facciamo un piccolo test.

Vi capita di dire: “mi hanno offesa/o”; sono stato/a maltrattato/a”; “ho subito un’ingiustizia”; “è sempre il solito schifo”? Se avete risposto con un Sì, vi dico: benvenuti nel club dei lagnosi. Molti fanno della lagna un’abitudine, illudendosi che il lamento faccia scomparire il problema. Ed è questo il vero guaio. Citando una famosa canzone del grande Domenico Modugno, “la lagna (la lontananza) è come il vento che spegne i fuochi piccoli e accende i grandi”. Quando ci si lamenta in continuazione, la soluzione del problema si allontana assieme alla gente, facendo riaffiorare paure e vecchi dolori.

Le insicurezze, l’inquietudine e l’afflizione crescono in modo esponenziale, fino al punto in cui il lagnoso diventa una “persona tossica”.

La lagna produce rammarico e un profondo senso di insoddisfazione; riflette un’emozione repressa che finisce per far ammalare anche i nostri pensieri e la nostra creatività. Lamentarsi è restare inermi. Concentrarsi sul problema e non sulla soluzione, provoca danni anche fisici perché induce stress e rabbia. La medicina ci insegna che tutto quello che sperimentiamo con le emozioni diventa condizione fisica.

Fermiamoci un attimo a osservare il nostro comportamento. Quando ci lamentiamo, diventiamo ostili, impazienti e per niente collaborativi. Un’interessante ricerca americana anni fa svelò i risultati delle autopsie eseguite sui soldati che avevano combattuto in Vietnam. Orbene, gran parte dei soldati soffrivano di arteriosclerosi causata dallo stress della guerra. In Finlandia si è scoperto che l’ostilità è la malattia che colpisce maggiormente il cuore. Molte persone, nonostante non siano state in Vietnam, combattono quotidianamente una o più guerre.

Guardando gli altri dal parabrezza e se stessi dallo specchietto retrovisore, a furia di lamentarsi, finiscono per dimenticare il proprio potenziale. Ricordate che solo la mente può migliorare i pensieri: sono i pensieri a determinare le azioni e di conseguenza i risultati. Per smettere di piagnucolare, dobbiamo guardare al “gigante che sta dentro di noi”, vivendo il problema quasi come un’opportunità. È necessario imparare a concentrarsi sulle cose importanti lasciando cadere le inezie, perché sono i dettagli irrilevanti e il lamento continuo che rovinano la nostra esistenza.

Concentrandoci sugli obiettivi, troveremo l’energia per raggiungerli e faremo pace con noi stessi. Quando ci sentiamo con le batterie scariche, è probabile che stiamo perdendo tempo con le persone sbagliate che amano oziare. Non rimandiamo e non piangiamoci addosso, ma sforziamoci di essere risoluti. Non mancheranno brutti momenti. La cosa peggiore che potrà capitare non è “il problema” ma la possibilità che questa situazione ci limiti mentalmente e fisicamente, lasciandoci impantanati nel guado del dolore e del pianto, dimenticando che in noi c’è la forza per reagire.

Se incontriamo sulla nostra strada persone lagnose, c’è un unico rimedio per neutralizzarle: sorridere, sempre e comunque. Concludo con le parole di Franck Grane perché possono esserci di aiuto: “Il lamento è il linguaggio della sconfitta”. E se non è abbastanza, ricordate la saggezza orientale racchiusa in questo proverbio: “Se c’è rimedio, perché ti lamenti? Se non c’è rimedio, perché ti lamenti?”.

Autore: Antonio Di Giura – Sistema Ratio Centro Studi Castelli Srl

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