Il Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato una azienda per aver installato: un allarme azionato dalle impronte digitali, un impianto di videosorveglianza e un applicativo per la geolocalizzazione di alcuni lavoratori.
Con la newsletter del 26.07.2023 il Garante per la protezione dei dati personali ha comunicato di aver sanzionato un datore di lavoro per l’istallazione di un sistema di allarme la cui attivazione e disattivazione si basava sull’uso delle impronte digitali, di un impianto di videosorveglianza e di un applicativo per la geolocalizzazione dei lavoratori.
Si conferma che il rispetto dello Statuto dei lavoratori e del Codice privacy costituiscono elementi essenziali e imprescindibili per il corretto trattamento dei dati personali nel mondo del lavoro. Il grande fratello di “orwelliana” memoria non sembra incombere sul mondo del lavoro. Questa relativa tranquillità deriva dalle garanzie costituzionali e legislative presenti e consolidate nel nostro ordinamento. La protezione dei diritti fondamentali di riservatezza e dignità dell’uomo e quindi del lavoratore sono sancite dall’art. 2 della Carta Costituzionale. Principi che sono resi esigibili dalla L. 300/1970.
L’ art. 4 dello Statuto dei lavoratori stabilisce, infatti, il “divieto assoluto di controllo a distanza” sull’attività lavorativa da parte del datore di lavoro. La materia è talmente delicata che ogni modifica solleva notevoli polemiche e prese di posizioni anche molto severe. Proprio in questi giorni il Garante per la privacy ha dato notizia di un’azione sanzionatoria nei confronti di una ditta “colpevole” di aver violato le garanzie a tutela della riservatezza e della dignità dei lavoratori.
Questa notizia preoccupa, ma conferma anche che il sistema normativo e di vigilanza funziona e garantisce i diritti dei lavoratori. Non sono, infatti, bastate le motivazioni rappresentate dall’azienda per evitare una sanzione di 20.000 euro.
L’istallazione di un sistema di allarme la cui attivazione e disattivazione si basava sull’uso delle impronte digitali, di un impianto di videosorveglianza e di un applicativo per la geolocalizzazione dei dipendenti sono stati ritenuti lesivi della dignità dei lavoratori. Il sistema di videosorveglianza, in particolare, oltre a riprendere i lavoratori durante la loro attività era, anche, in grado di captare i suoni ed effettuare registrazioni. Il sistema era controllato dal datore di lavoro attraverso uno smartphone. L’impianto permetteva, addirittura, di “rimproverare”, in tempo reale, verbalmente i dipendenti.
La Guardia di Finanza ha anche accertato l’uso di un applicativo che tracciava in modo continuativo, tramite GPS, la posizione del dipendente nel corso della propria attività, nonché data e ora del rilevamento, determinando così un controllo del lavoratore non consentito. I dati raccolti venivano trattati senza che i lavoratori avessero ricevuto un’adeguata informativa e fossero state attivate le procedure di garanzia previste dallo Statuto dei lavoratori (accordo sindacale o, in alternativa, autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro).
Gli strumenti di controllo diventano sempre più invasivi e “pericolosi”, ma il nostro ordinamento possiede gli “anticorpi” per poter reagire a ogni abuso. Bisogna dare atto, ancora una volta, che la scelta, realizzata con lo Statuto dei lavoratori, di chiudere con il “particolarismo” del diritto aziendale è stata non solo corretta ma essenziale. Grazie alla lungimiranza del legislatore del 1970 i diritti di libertà e dignità nel contesto della prestazione d’opera sono divenuti effettivi attraverso l’eliminazione di ogni ingiustificabile disparità tra lo status di cittadino e quello di lavoratore subordinato.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
Autore: Maurizio Fazio – Sistema Ratio Centro Studi Castelli