Infortunio e responsabilità del venditore

Il rivenditore della macchina risponde dei danni e lesioni patiti da un lavoratore o un terzo quando l’apparecchio, pur dotato di marcatura CE e dichiarazione di conformità, non soddisfa i requisiti di sicurezza prescritti.


L’art. 12, D.Lgs. 81/2008 stabilisce il divieto di fabbricare, vendere, noleggiare e concedere in uso attrezzature di lavoro non rispondenti alle disposizioni vigenti in materia di prevenzione. L’obiettivo è garantire la circolazione e l’utilizzo solo di beni conformi fin dall’origine o adeguati prima della messa a disposizione, condizione che opera per ogni formula contrattuale dalla compravendita al noleggio, dal comodato al leasing.

Il caso proposto, oggetto della sentenza di Cassazione penale, Sez. IV, 18.11.2021, n. 42110, tratta del ricorso presentato dagli amministratori di una società condannati per aver causato lesioni personali gravissime, dovute alla mancanza del dispositivo di sicurezza atto a impedire l’accesso a parti in movimento della macchina spargisale da loro commercializzata.

La vittima, che non era un dipendente ma un soggetto esterno presente sul luogo, nel tentativo di rimuovere un grosso pezzo di sale dal fondo della tramoggia, è rimasta impigliata e ha riportato l’amputazione dell’arto. La Corte d’Appello, con una revisione parziale della sentenza di primo grado, ha riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, riducendo la pena e confermando per il residuo la condanna come il risarcimento del danno.

Gli imputati hanno proposto ricorso sostenendo che l’infortunato, estraneo all’organizzazione, aveva interferito nelle operazioni in modo indebito, esponendosi al rischio con un’iniziativa imprevedibile ed estemporanea tale da interrompere il nesso di causalità. In modo acrobatico egli aveva raggiunto l’albero in rotazione, senza assumere le precauzioni contenute nel manuale d’uso e suggerite dai pittogrammi apposti sulla superficie e soprattutto senza operare a macchina spenta.

La difesa ha sostenuto che l’attrezzatura è stata ritenuta pericolosa in modo improprio; la distanza tra parti mobili e tramoggia rispettava quanto prescritto dalla norma UNI EN 13857, impedendo fisicamente il contatto accidentale con parti in movimento; era presente la dichiarazione di conformità e installare una griglia avrebbe potuto comprometterne il funzionamento, visto che mezzi simili all’epoca ne erano privi.

I ricorsi sono stati ritenuti inammissibili e respinti: una collaborazione anche non richiesta crea infatti una situazione che, pur irregolare, è plausibile e non eccezionale in piccole realtà, a meno che avvenga all’insaputa e contro il volere del datore di lavoro.

Sul luogo la tutela opera non solo nei confronti del personale ma anche di terzi, a prescindere dal rapporto di dipendenza, in presenza di un legame causale e quando la norma violata mira a prevenire l’incidente.

Prestare aiuto nella pulizia rientrava tra le attività connesse al ciclo produttivo e all’uso ordinario della macchina, non un fatto anomalo o eccezionale, ma una fase soggetta a valutazione dei rischi.

Se il datore di lavoro risponde della sicurezza dei luoghi ed è tenuto a verificare la conformità dei macchinari utilizzati senza che la presenza di marcatura CE o l’affidamento sulla competenza tecnica del costruttore costituiscano motivo di esonero, la responsabilità grava a maggior ragione su produttore o venditore, che hanno maggiori possibilità di controllo preventivo. Nei loro confronti la condotta abnorme si manifesta soltanto nel caso di uso improprio e del tutto imprevedibile da parte dell’infortunato, ribadendo che l’interpretazione di una disposizione legislativa non può differenziarsi in funzione dei diversi destinatari.

Autore: Lorenza Rossi – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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