La fine del segreto salariale?

La Direttiva europea 2023/970 pubblicata in Gazzetta Ufficiale UE il 7.05.2023 è entrata in vigore il 6.062023. Riguarda il divario di stipendio per causa di genere e tende a porvi rimedio attraverso l’aumento della trasparenza salariale.

Il problema esiste, è inutile negarlo: troppo spesso vediamo medesime attività svolte da uomini e donne, pagate molto diversamente. Ma non è solo questo. Spesso vediamo che la possibilità di carriera nel settore privato e, forse peggio, nel settore pubblico, è condizionata in maniera esorbitante dall’essere donna e da tutto quanto questo comporta nella nostra società: meno tempo per formarsi e riqualificarsi dopo aver formato una famiglia e nessun tipo di ausilio alla conduzione familiare o all’accudimento della prole.

La Direttiva pone l’accento sulla problematica di genere, non lo fa espressamente su altre discriminazioni salariali che pure esistono e che sono determinate da altri fattori (es.: nazionalità, diverse abilità, ecc.), ciò non vuol dire che tali discriminazioni non siano ugualmente contrastabili ed anzi i principi estrapolabili dalla Direttiva ben facilmente potranno essere richiamati in fase di tutela.

Tecnicamente, trattandosi di una direttiva, deve essere recepita dagli Stati membri per entrare nell’ordinamento (entro il 7.06.2026), ma sappiamo pure che La Corte di giustizia ha statuito che alcune disposizioni di una direttiva, in via eccezionale, possono produrre effetti diretti in uno Stato membro senza che quest’ultimo ha in precedenza adottato un atto di recepimento, se le disposizioni della direttiva conferiscono diritti ai singoli, per cui nulla di sorprendente se i principi della direttiva entrano in ricorsi o citazioni prima del recepimento nazionale.

Nel merito, il “superamento” del segreto di stipendio comporta che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che i datori di lavoro dispongano di sistemi retributivi che assicurino la parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (art. 4, c. 1), che non è di per sé un “divieto” alla differenziazione retributiva, ma tale differenziazione non deve derivare da discriminazione di genere.

La cosiddetta trasparenza stipendiale diviene principio vigente non solo in costanza di rapporto (artt. 6 e 7) ma già in fase di candidatura, infatti, i candidati a un impiego hanno il diritto di ricevere dal potenziale datore di lavoro informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia da attribuire alla posizione lavorativa (art. 5). Viene ovviamente data rilevanza a uffici preesistenti nell’ambito delle organizzazioni nazionali ( consigliera di parità e diramazioni territoriali, ma anche le varie organizzazioni sindacali sono coinvolte sia nella fase di creazioni delle informazioni necessarie a valutare la trasparenza stipendiale, sia nell’azione giudiziaria a tutela della eventuale discriminazione (Art. 15).

I rimedi sono giudiziari e la direttiva agevola la formazione della prova a favore di chi denuncia la discriminazione: viene sancito il diritto al risarcimento del danno secondo il principio del ripristino dello ” status quo ante “. Il risarcimento o la riparazione pongono il lavoratore che ha subito un danno nella posizione in cui la persona si sarebbe trovata se non fosse stata discriminata in base al sesso o se non si fosse verificata alcuna violazione dei diritti o degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione.

Gli Stati membri assicurano che il risarcimento o la riparazione comprendano il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora. Ulteriore elemento processuale rilevante è l’inversione dell’onere della prova. Quando il datore di lavoro è citato dal lavoratore che produce elementi anche solo presuntivi in base ai quali si ipotizza la discriminazione salariale, sarà in capo al convenuto provare l’insussistenza della discriminazione (art. 18).

(Foto: archivio Qdpnews.it).
Autore: Antonio Gualtieri – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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