La privacy spogliata dalla sua veste burocratica

Il Regolamento UE 2016/679 (RGPD) introduce un nuovo approccio al trattamento dei dati personali, ma al contempo definisce anche nuovi diritti in vista di scenari tecnologici e sociali di non facile previsione.

La privacy è oggi comunemente vista come un’aggiunta all’ormai pieno fardello burocratico che devono trascinarsi dietro le aziende nel corso delle loro quotidiane attività. Del resto, come non riconoscere ciò alla luce dell’attuale situazione economico-finanziaria che stanno vivendo buona parte dei Paesi (e delle imprese) dell’Unione Europea.

Ma vorrei in questo breve articolo presentare tale normativa, sfociata al termine di un tortuoso cammino nella promulgazione del Regolamento UE 2016/679, da un punto di vista diverso, ossia, dalla parte di coloro che hanno contribuito alla sua definizione. Un ruolo sicuramente molto importante in questo processo l’ha avuto un nostro connazionale, Giovanni Buttarelli, già segretario generale dell’Autorità Garante italiana, poi Garante europeo. Egli credeva fortemente nella necessità di una normativa che doveva “difendere” questo nuovo diritto. Buttarelli si chiese, e chiede, attraverso le testimonianze scritte che ci ha lasciato, come rendere possibile un nuovo umanesimo tecnologico, combattendo il culto della massimizzazione dei dati, obbligando tutti, in particolare giuristi e sociologi, a svolgere analisi più ampie su ciò che il futuro porterà in merito ai rischi per le libertà e i diritti nell’epoca della digitalizzazione dei dati.

Esemplificativa è la diversa concezione tra il vecchio e il nuovo continente in merito al concetto di “trattamento di dati personali”: in Europa, come diritto fondamentale; negli Stati Uniti come mera appendice della disciplina consumeristica.

La “differenza europea”, orgogliosamente rivendicata dalla seconda sentenza di Schrems, ha assegnato una nuova declinazione della privacy, quale libera determinazione delle modalità di costruzione del sé, nella sua dimensione intersoggettiva. Ossia, il passaggio da una tradizionale “privatezza” (per dirla alla Umberto Eco) alla più innovativa protezione dei dati personali, come autonomo diritto fondamentale al controllo delle informazioni in cui si esprime il sé (sancito con la Carta di Nizza), dimostrando la sua centralità tanto come diritto individuale quanto come garanzia democratica.

Del resto, come non accorgersi di quanto si sia ampliato il divario fra chi ha gli strumenti per controllare le tecnologie (e la “ vita digitale”) e chi subisce tali tecnologie e i trattamenti di dati. D’altra parte, connettere tutto ha un costo sia per la società che per l’ambiente, ma anche per le persone.

Infine, ma non da ultimo, in questi anni è diventato sempre più evidente che il controllo e la monetizzazione dei dati personali ha assunto un valore cardine per i sistemi di business di molte società nazionali ed internazionali (comprese le organizzazioni criminali).

La prossima grande sfida sarà come mantenere il controllo sulla rapida trasformazione della persona umana in un’identità digitale. Il mondo è già a un bivio fra 2 futuri molto diversi, legati alle tecnologie e alle scelte in materia di intelligenza artificiale. In uno si potranno forse tutelare le istituzioni democratiche, lo stato di diritto, le garanzie per i singoli.

Nell’altro, quasi certamente, il potere dell’automazione e la logica dell’efficienza andranno di pari passo a una crescente scarsità di risorse che farà di noi tutti poco più che aggregati di dati, sudditi di sistemi che non comprendiamo e non possiamo controllare.

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