La strada per Olduvai

Quando il credito si espande rapidamente, spinge in avanti la crescita economica 

Con un volume maggiore di credito, i consumatori spendono di più e di conseguenza i guadagni delle imprese fanno altrettanto. Le aziende in queste condizioni di “benessere” assumono, comprano un maggior volume di materie prime ed espandono la produzione. In questo modo pagano anche più tasse e i governi degli Stati in cui operano hanno più soldi da spendere. Nel frattempo, i prezzi dei beni e servizi tendono ad aumentare. Comunque, arriva prima o poi il giorno in cui il credito ferma la sua espansione e allora incomincia la depressione. Con queste parole l’economista americano Richard Duncan si esprime in relazione alle ragioni ed ai processi che hanno contribuito a determinare lo stato economico attuale del sistema mondiale.

Facendo un passo indietro, dalla metà degli anni Settanta i progressi tecnologici nel campo dell’informatica, la progressiva deregolamentazione unita alla creazione di nuovi strumenti finanziari, il conseguente aumento della liquidità nell’economia internazionale, accanto all’aumento del prezzo del petrolio, hanno prodotto un rafforzamento del ruolo della finanza internazionale all’interno del sistema economico, ponendo il credito in posizione dominante rispetto agli altri fattori determinanti.

Grazie alle politiche delle banche centrali, che favorirono il basso costo del denaro, venne incentivata una più facile erogazione del credito alle famiglie, spinte a indebitarsi in misura crescente per alimentare i consumi, e agli speculatori (banche d’investimento, imprese e fondi finanziari), portati a effettuare investimenti sui mercati finanziari (con la conseguente creazione di bolle speculative, con ricadute poi sull’economia produttiva).

Anche i grossi Istituti finanziari, le banche di investimento in particolare, presero a indebitarsi a breve termine per realizzare operazioni speculative. Tutto ciò era favorito, soprattutto con riguardo alle più massicce attività di compravendita azionaria, dalla creazione di sistemi di intermediazione creditizia costituiti da entità ed attività operanti al di fuori del normale sistema bancario, spesso messi in opera dalle stesse banche, che sfruttavano appunto gli spazi di contrattazione non regolamentati per la raccolta di investimento canalizzata su prodotti, sotto-prodotti e derivati finanziari.

Seguendo lo schema di Duncan, negli Stati Uniti il debito totale (delle famiglie, delle aziende, delle istituzioni finanziarie e il debito del governo) a partire dal 1964 e per i successivi 43 anni si espanse di ben 50 volte e la stessa esplosione venne replicata a vari gradi in tutto il mondo. È fuori discussione come una proliferazione del credito di tali proporzioni, in grado essa stessa di influenzare l’intero sistema economico, sia diventata tangibile soltanto nel momento storico in cui il denaro cessò di essere controgarantito da un eguale quantitativo di oro, momento che nell’esempio coincide con l’inizio degli anni Settanta, quando con il governo Nixon gli Stati Uniti adottarono un sistema di inconvertibilità del dollaro in oro, lasciando di fatto fluttuare il valore della moneta in base a domanda ed offerta, con le conseguenze storiche rappresentate da una serie di svalutazioni monetarie, le connesse manifestazioni inflattive e l’aumento del costo del petrolio, bene principe sul mercato energetico mondiale.

Ma come si è letto da più parti, lo stato di crisi genera grandi opportunità per le imprese, che possono scoprire nuovi prodotti, nuovi mercati, nuove professionalità ed investire, di pari passo con le istituzioni, in programmi di sviluppo. Per l’equilibrio mondiale serve probabilmente favorire, più che la creazione di infrastrutture fine a sé stesse, tutti quei settori in grado di ristrutturare le economie facendo confluire le risorse verso uno sviluppo sostenibile,caratterizzato da una perfetta integrazione dell’impresa e dell’imprenditore con l’ambiente e la società. La strada passa dalla ricerca, dallo sviluppo di nuove tecnologie non invasive, dallo studio e dalla promozione di energie rinnovabili.

Introducendo nel 1989 la sua “Teoria di Olduvai” (dal nome della località in Tanzania) in merito alla sopravvivenza della civiltà moderna, lo stesso economista aveva affermato che la fine del sistema consumistico (stimata attorno al 2025/2030) avrebbe coinciso, terminata alla fine degli anni Settanta la fase di massima produzione energetica, con il progressivo calo dei consumi di energia destinato a materializzarsi in uno stato di catastrofe maltusiana, a causa del quale la società verrà ricondotta in modo forzato al ripristino di una economia di sussistenza. A voler essere pessimisti, i primi sintomi si sono già manifestati: l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, il progressivo proliferare di situazioni di carenza di risorse energetiche, lo stallo dei meccanismi di produzione.

Spingendosi ad una doverosa chiave di lettura ottimistica, la società moderna è comunque ancora in tempo per arginare lo stato di emergenza favorendo l’impresa e con essa la nascita di professionalità, il rinnovo dei sistemi di credito, la spinta verso l’ambiente e l’integrazione. Usando un’espressione più generale, aprendosi al nuovo e dimenticando le proprie paure, anche se radicate in modo più o meno profondo.

Autore: Cristiano Corghi – Sistema Ratio Centro Studi Castelli
Foto: archivio Qdpnews.it
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