La strategia dei laghetti

Risorse idriche tra gestione energetica e fabbisogno del settore primario.

Nello scorso settembre avevamo accennato a un parallelo tra la scarsità di energia (la contingenza e il dramma della guerra) e la siccità. Mentre per la prima confidavamo nella ricerca e nella capacità di individuare sempre nuove fonti, magari anche rinnovabili e pulite, la seconda, l’acqua, ci appariva sempre di più come una risorsa limitata, non producibile, ma solo utilizzabile. Insomma, un dono della natura difficilmente governabile e capricciosamente disponibile.

Sì, con la scienza e la tecnologia si può aumentare la quota di acqua dolce (2,5%) presente sul pianeta rispetto a quella salata; tuttavia, è ancora aperto il dibattito sulla convenienza dei dissalatori in termini economici, energetici e ambientali: se non alimentati con energie rinnovabili come in Australia sono molto energivori, producono acqua a un costo doppio al metro cubo e, soprattutto, alterano la salinità del mare e tutto l’ecosistema marino con gli scarti della salamoia (per produrre un litro di acqua dolce si scarta un litro e mezzo di acqua ipersalata). In altri termini, i dissalatori possono aiutare all’interno di un equilibrio globale, ma non possono risolvere tutto il problema e nemmeno la gran parte.

La Spagna ha investito molto sui dissalatori, ma al contempo riesce a trattenere il 30% dell’acqua piovana mentre in Italia il 90% è disperso. Il grande problema e la priorità sembra essere quello degli invasi, della capacità di trattenere l’acqua che dalle Alpi e dagli Appennini altrimenti scivolerebbe rapidamente in mare, senza contribuire in alcun modo alla produzione di energia, all’agricoltura e al rinnovo delle falde.

L’allarme lanciato lo scorso anno sembra sempre più attuale, dopo un inverno che ha reiterato la scarsità di piogge e di neve sulle montagne. Nel 2022 la siccità ha ridotto la produzione di energia elettrica del 40%, e dell’11% la produzione di energia idroelettrica. A gennaio 2023 il contributo delle centrali alimentate dall’acqua è sceso ulteriormente: più o meno, quasi la metà rispetto a gennaio 2021.

Poi, naturalmente, c’è l’agricoltura che assorbe il 55% dei consumi d’acqua (26 miliardi di metri cubi) per l’irrigazione e che si contrappone con l’attività turistica dei grandi laghi del Nord. Già lo scorso anno la superficie coltivabile si è ridotta per le difficoltà della siccità, sofferte soprattutto dall’ortofrutta e dalle risaie. Qualche azienda ha seminato frumento e orzo, coltivazioni meno voraci di acqua rispetto al mais. Si tratta, tuttavia, di soluzioni limitate, che non possono risolvere il problema, anche se una riconsiderazione delle strategie dell’impresa agricola relativamente alle scelte produttive deve essere fatta in ragione del cambiamento climatico.

Anche il PNRR non sembra poter intervenire efficacemente sui ritardi italiani relativi alla dispersione, alla vetustà delle reti idriche, allo spreco. Dei 4,8 miliardi previsti in totale, 2 miliardi vanno agli acquedotti, 900 milioni per lo spreco in rete, 800 per l’irrigazione e 600 per fognature e depurazione. Sono, però, insufficienti e siamo in ritardo con i progetti e tutte le risorse sono destinate a strutture esistenti e non a nuove opere, delle quali abbiamo una fortissima necessità. Nel frattempo, dobbiamo affidarci alla buona volontà dei cittadini e al loro senso civico, almeno per quanto riguarda l’uso domestico e l’irrigazione degli orti familiari.

Mi consola una proposta che viene dal ferrarese: il Progetto Laghetti, piccoli/medi invasi diffusi in pianura e in collina capaci anche di ospitare impianti fotovoltaici e di rendere autosufficiente la gestione energetica del pompaggio e di limitare l’evapotraspirazione fino al 30% della superficie.

Un ritorno, forse, al “piccolo è bello”?

Autore: Anselmo Castelli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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