La Corte di Cassazione ribadisce: il lavoratore malato può uscire di casa senza compromettere il reintegro e il risarcimento, purché non svolga attività che ritardino la guarigione.
Con l’ordinanza 6.05.2024, n. 12152 la Corte di Cassazione ha confermato un principio a favore dei lavoratori: la libertà di movimento durante la malattia non può essere considerata un’aggravante tale da legittimare il licenziamento disciplinare. La sentenza ribadisce che il dipendente ammalato non è obbligato al confino domiciliare, a meno che non vengano accertate condotte incompatibili con lo stato di malattia.
La vicenda nasce dal licenziamento di un dipendente da parte di una società per azioni, avvenuto nell’agosto 2016 a seguito di presunti abusi delle assenze per malattia. Il Tribunale di primo grado aveva approvato tale provvedimento disciplinare. Tuttavia, la successiva decisione della Corte d’Appello di Napoli ha ribaltato la sentenza, annullando il licenziamento e ordinando il reintegro del lavoratore, oltre al risarcimento del danno subìto.
Ricorso in Cassazione – Insoddisfatta dell’esito della sentenza d’appello, che aveva annullato il licenziamento e disposto il reintegro del dipendente, la società ha presentato ricorso in Cassazione, articolando 6 principali motivi di contestazione. La Corte ha rigettato il ricorso, allineandosi alla sentenza emessa dalla Corte d’Appello.
Un punto centrale della decisione riguarda la posizione del lavoratore che si trova in stato di malattia. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: il dipendente malato non è automaticamente tenuto a rimanere confinato presso il proprio domicilio. Affinché un licenziamento disciplinare possa considerarsi legittimo in tali circostanze, è necessario che il datore di lavoro fornisca prove tangibili e incontrovertibili di comportamenti del lavoratore palesemente incompatibili con il suo stato di malattia. Non bastano semplici sospetti o illazioni: occorrono riscontri oggettivi che dimostrino una condotta contraria agli obblighi contrattuali e lesiva del rapporto di fiducia che lega le parti.
La Cassazione, quindi, ha inteso rimarcare la necessità di un rigoroso accertamento probatorio a carico del datore di lavoro, evitando giudizi affrettati o superficiali. Solo in presenza di evidenze solide e inoppugnabili è possibile giustificare un provvedimento estremo come il licenziamento per motivi disciplinari.
Tutele rafforzate per i lavoratori – Questa decisione rafforza ulteriormente le tutele a favore dei lavoratori contro i licenziamenti ingiustificati, sottolineando l’importanza di un’attenta valutazione di tutte le prove a carico del dipendente, di motivazioni esaurienti e circostanziate dei giudici di merito e di un corretto bilanciamento degli oneri probatori tra datore di lavoro e lavoratore.
La Corte di Cassazione ha così ribadito che la mera libertà di movimento durante la malattia non può essere considerata, di per sé, una giustificazione sufficiente per il licenziamento disciplinare del lavoratore. Servono prove concrete di condotte effettivamente incompatibili con lo stato di malattia.
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Autore: Gianluca Pillera – Sistema Ratio Centro Studi Castelli