Si aspetta che passi l’inverno. Ricordando le parole di Socrate: “Di quello che non ho, non mi manca nulla”.
Si aspetta che passi l’inverno per molte ragioni. La prima riguarda il popolo ucraino e la sua sopravvivenza, in attesa dell’offensiva di primavera. Almeno a detta degli strateghi. Altre ragioni riguardano una serie di indicatori economici che, accavallandosi caoticamente, non permettono di confidare che il 2023 non ci riservi altri eventi infausti. Pandemie e guerre bastano e avanzano.
Abbiamo scongiurato il grande rialzo dei prezzi dell’energia, contenuto da un tempo mite, ma che rimane sullo sfondo come grande incognita? Si è contenuta l’inflazione, ancora a fine anno oltre l’11% dopo la corsa di settembre, la frenata di ottobre e la ripresa di novembre? E, nella versione macro, siamo a posto con i conti pubblici, con l’enorme debito e con il PNRR?
Alla fine del 2022 si registravano anche alcuni dati positivi: l’aumento dell’occupazione, qualche soddisfazione dal PIL.
Considero un’ardua sfida cercare di decifrare un andamento come pura speranza che, come si sa, è un confidare nel futuro senza avere solide basi informative. Non mi azzarderei in previsioni, visti i contesti politici internazionali e i dati che quotidianamente provengono dai mercati, dall’Europa, da oltre Atlantico, dai Paesi del Golfo o dall’Oriente, dalle agenzie di rating o dalle statistiche ufficiali. Non c’è una direzione, si naviga a vista. Una certezza però l’ho trovata e si nasconde, ma non troppo, nelle banche e negli istituti finanziari e assicurativi in generale. Gli italiani posseggono oltre 5.000 miliardi di euro in contanti, titoli o prodotti assicurativi, con una grande predilezione per il contante depositato in banca e pronto all’uso, mentre l’immobiliare privato è stimato per un valore di 10.000 miliardi. Il debito pubblico dello Stato va verso i 2.800 miliardi.
La propensione al risparmio è del 9,3%, in calo di 4 punti, ma sempre superiore al periodo pre-Covid e largamente superiore a ogni altro Paese europeo.
A fronte di questa pur ridotta virtù italiana, l’inflazione e l’incertezza nel futuro sembrano determinare una rimodulazione dei comportamenti di consumo. Gli esperti hanno già individuato i settori che registreranno diminuzioni e quelli in crescita. Mi sembra di capire che ci si orienterà verso consumi indirizzati alla vita familiare, al benessere fisico, alla salute senza rinunciare a turismo e tempo libero, sacrificando qualcosa sugli strumenti di mobilità o sull’abbigliamento.
Ecco, qualche informazione di indirizzo la si può forse estrapolare dalla psicologia del consumo dopo questi periodi di preoccupazione e, in certi casi, di affanno. Le famiglie dovranno esercitarsi a spostare somme da un capitolo all’altro dei loro bilanci, rivedendo abitudini e stili di vita, affrontando decisioni solo in parte motivate da scelte personali e altre volte indotte da necessità o da efficaci pubblicità.
Azzardiamo, allora, la previsione di un grande (o piccolo) rimescolamento nei consumi che costringerà le famiglie, e ognuno di noi, a chiedersi a cosa si può rinunciare, quali sono le cose importanti e quali no, quali sono le priorità.
Ricordo spesso un detto di Socrate che, passeggiando per le vie di Atene e guardando le botteghe artigiane, diceva: “Di quello che non ho, non mi manca niente”.
Senza arrivare alla radicalità del filosofo, mi atterrei alla sostituzione di cose con buone relazioni. Che spesso (non sempre, però) costano poco.
Autore: Anselmo Castelli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli