Il bicchiere mezzo pieno del coronavirus

L’esperienza dell’epidemia ci impone un cambiamento epocale. Ma il vero cambiamento è un cambio di prospettiva: ritornare padroni del nostro tempo. Istruzioni per ripartire dall’ascolto empatico del cliente.

In questi mesi di vincoli e restrizioni, ho udito molti filosofi dediti alla ricerca umanistica della saggezza sostenere che siamo una società migliore, avendo (ri)scoperto la solidarietà, il rispetto delle regole, la riconoscenza verso i medici in prima linea, il sacrificio, ecc. Sono affermazioni che mi lasciano perplesso anche se mi incoraggiano ad adottare valutazioni di diversa natura.

Non credo che l’evento disastroso che tutti viviamo ci stia cambiando: è solo apparente padronanza. Chi tendenzialmente ha poca propensione al rispetto delle regole, non cambia, perché appartiene alla forma mentis dell’individuo; e chi ha poca simpatia e rispetto per i camici bianchi, probabilmente, è solo vittima di frustrazioni mai represse. Punto.

Dopo questa premessa, quali considerazioni possono legare il nostro lavoro al coronavirus? Una riflessione l’ho fatta leggendo le linee guida emanate per l’apertura delle attività produttive. Una cosa è incontrovertibile: i ritmi frenetici in cui tutti eravamo abituati a correre come “polli con la testa tagliata” (senza trovarla), sarà solo un ricordo. Oggi sappiamo che, per fare la spesa o recarci in un ufficio pubblico, dobbiamo ritagliarci del tempo, perché i nostri ritmi subiranno una “decelerazione forzata”. Nello studio non incontreremo 10 clienti alla volta, né parleremo con 3 persone contemporaneamente, come facevamo mesi fa. Durante la gestione di questa crisi, inevitabilmente, saremo educati a fare una cosa per volta.

A proposito: l’idioma orientale che descrive una “crisi” è formato da due simboli. Uno indica “il problema” e l’altro “l’opportunità”. Cosa “leggere” in quest’ultima rappresentazione? Esiste un momento propizio per migliorare in qualcosa? Ritengo di sì. Mi ha colpito una frase del Maestro Ezio Bosso quando in un’intervista affermò che “la musica ci insegna la cosa più importante che esista: ascoltare.” Orbene, secondo le linee guide emanate, l’accesso nel nostro studio sarà preferibilmente contingentato.

Sapete, la cosa mi affascina e non mi spaventa e spiego il perché. Posso rallentare il ritmo e fermarmi ad ascoltare, finalmente. Avrò il tempo per prestare attenzione al mio cliente che magari vuole raccontarmi delle sue paure, dei suoi timori e della sua sofferenza. Se una persona soffre, ha bisogno di parlare con qualcuno per ottenere sollievo e questo, è più potente di una medicina. Avremo l’occasione di offrire la nostra disponibilità, ascoltando a fondo la persona che sta di fronte.

Saremo padroni del tempo, disarmati dalla frenesia, dal nervosismo di una sala d’aspetto piena. Imparare ad ascoltare a fondo è una nostra responsabilità. Siamo motivati dal desiderio di alleviare la sofferenza ed è per questo che ascoltiamo. Dobbiamo farlo con tutto il nostro cuore, senza l’intenzione di giudicare.

Se ascoltiamo intensamente per 20 minuti, non avremo nulla da temere ma solo da imparare. Aiuteremo i nostri assistiti a ottenere quello che vogliono; in questo modo, avranno più rispetto per la nostra professione e capiranno che non siamo come la banca che li chiama solo quando il conto è in rosso; scopriranno che siamo gente costruttiva, capace di rinnovarsi e creare; entreremo in sintonia man mano che la conversazione andrà avanti. Per capire (facendo domande), renderemo onore ai pensieri e ai sentimenti del nostro cliente, che sarà più rilassato e capace di apprezzarci.

Saprà che su di noi potrà contare perché insieme raccoglieremo i cocci delle macerie di questa epidemia e ci adopereremo per ricostruire il futuro al suo fianco che poi, a pensarci bene, è anche il nostro. Viaggeremo verso il fronte, sullo stesso binario, uniti contro questo nemico invisibile e subdolo.

Ci riusciremo imparando dall’ascolto e rimetteremo in piedi la sua azienda (che è una parte importante della sua vita), proprio come si fa con la musica, infatti, citando ancora il Maestro Bosso: “La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme”.

Autore: Antonio Di Giura

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