Il marketing ABM – Account Based Marketing (Marketing basato sugli account) è un approccio strategico fondato sulla conoscenza approfondita dell’azienda cliente e su tutto ciò che le gravita attorno.
Questo modello viene generalmente utilizzato nelle organizzazioni di vendita B2B. Mentre il marketing tradizionale è normalmente organizzato per settore, prodotto/soluzione o canale (diretto/sociale/PR), l’ABM riunisce tutti questi aspetti per concentrarsi sulla creazione di valore complementare al prodotto proposto. Questo metodo è fondamentale in un mercato nel quale i clienti vedono poca o nessuna differenza tra un fornitore e i suoi concorrenti, situazione in cui il prezzo viene considerato l’unico elemento di differenziazione evidente.
Tuttora, per molti responsabili di marketing, l’ABM è considerato alla stregua di un programma one-to-one marketing altamente personalizzato o un insieme di attività tra le quali il mailing e la telefonata rimangono i capisaldi per generare nuovi contatti.
I programmi ABM, in realtà, possono essere sia “uno a uno”, sia “uno a molti” e le tattiche utilizzate possono variare in base all’approccio utilizzato.
Per aprire le porte a opportunità di affari da molti milioni di euro, ieri si usavano tattiche come direct mail personalizzate ad alto impatto, video personalizzati degli AD e inviti dai responsabili delle vendite per incontrare i dirigenti, al fine di smuovere l’interesse di chi era più riluttante ad aprire un confronto.
Con la strategia ABM uno-a-molti, l’avvento della comunicazione multicanale ha creato la possibilità di coinvolgere diversi membri dei comitati decisionali con messaggi personalizzati che cambiano progressivamente man mano che ci si inoltra nell’imbuto della vendita. Queste campagne uno-a-molti avvisano i venditori quando un cliente potenziale mostra un comportamento che indica la disponibilità a interagire con un rappresentante aziendale.
La capacità di reperire, analizzare e utilizzare le informazioni per ispirare la rete commerciale sta crescendo rapidamente e la loro lavorazione sta subendo una rivoluzione radicale.
Le aziende sono in grado di misurare le intenzioni dei clienti potenziali, osservando le evidenze sul loro coinvolgimento e comprendono quando è giunto il momento per promuovere azioni specifiche in base a ciò che quei comportamenti hanno suggerito.
L’aspetto più strabiliante è che l’insieme delle reazioni dei soggetti impattati dalla comunicazione genera un punteggio per il quale un’azione concreta merita di essere presa in considerazione. Una sorta di scorecard, insomma.
I destinatari, per esempio, riceveranno l’invito a un evento esclusivo a Londra per una serata di gala, oppure l’accredito per la partecipazione al seminario gratuito tenuto da un guru del marketing e così via. E tutto ciò viene avviato automaticamente solo in base a quel “punteggio di intenti”. Qualcuno può considerare mostruoso questo ricorso massivo all’intelligenza artificiale per surrogare decisioni che dovrebbero spettare a considerazioni e sensibilità umane, ma sta di fatto che molte aziende (non solo quelle prive di menti commercialmente raffinate) delegano alcune fasi del processo decisionale a macchine che danno input in base a freddi calcoli statistici.
Le principali ricadute di dettaglio di questo approccio sono:
– maggiore personalizzazione dell’offerta;
– clienti meno sensibili al prezzo;
– capacità di suscitare interesse in tempi rapidi;
– allineamento tra attività di marketing e vendita;
– predisposizione di argomentazioni commerciali di sicuro interesse;
– maggiore facilità di identificare i decision maker.
L’effetto “sociale” di maggior rilievo per l’organizzazione è un’aumentata collaborazione tra gli enti marketing e commerciale, aspetto di non poco conto.
Autore: Stefano Donati