La classe (sociale) di rischio ai tempi del coronavirus

Disastri di tipo “democratico” che non mostrano alcun riguardo per la ricchezza o povertà delle persone colpite. Ma il problema non è tanto l’esposizione egualitaria al pericolo, quanto la diseguaglianza nelle condizioni di ripartenza di chi ne è coinvolto.

È proprio vero quello che sostengono alcuni sociologi ed economisti: le classi sociali non sono più definite, come una volta, dai rapporti di produzione. Le nuove classi sociali si definiscono in rapporto al rischio.

Certi eventi, come i terremoti, sono ancora “classisti”, nel senso che colpiscono maggiormente i poveri che vivono in case fatiscenti rispetto a chi può permettersi case antisismiche. Altri, invece, sono di un’assoluta neutralità, come il terrorismo che colpisce indiscriminatamente o gli incendi che non risparmiano le ville in California e in Australia, o le inondazioni che spazzano via qualsiasi cosa, per non parlare delle centrali nucleari che contaminano senza distinzioni.

Le nuove classi sociali si definiranno in futuro in rapporto alla loro esposizione al rischio, alla capacità di contrastarlo e di assumere comportamenti virtuosi. Anche l’ultima grave fonte di rischio, il coronavirus, sembra nascere con una vocazione interclassista, dato che infetta chiunque senza riguardo per la posizione sociale.

Sta compromettendo la più arrembante economia mondiale, mostrando come uno sviluppo troppo accelerato possa produrre fragilità endemiche che causano vittime e si ritorcono contro un sistema incapace di prevedere tutti i possibili rischi.

Ciò che questa vicenda mostra, comunque, non è tanto l’esposizione egualitaria al rischio, quanto la diseguaglianza nelle condizioni di ripartenza di chi ne è coinvolto. Se, come dice il rapporto Oxfam 2020, l’1% più ricco del mondo detiene più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone, a questo 1% il terremoto che fa scomparire una casa o l’incendio di una villa, pur non essendo sicuramente eventi piacevoli, non comprometteranno di certo la capacità di ripresa.

Potremmo anche scommettere sulla capacità della Cina di riprendersi in modo efficace fino a che un’altra fragilità non interverrà a mettere in discussione il modello. Già questo ultimo evento ha mostrato superficialità igieniche che hanno facilitato la trasformazione del rischio in tragedia.

Devo pensare, però, all’Africa o ad altri Paesi più deboli economicamente: qui vedo rispuntare le vecchie categorie della diseguaglianza fondate sulle loro fragili condizioni di ripartenza. In quelle terre il rischio diventa catastrofe con ripercussioni umane, sociali ed economiche inimmaginabili.

Questo vale per i Paesi e per ogni singola famiglia esposta a tutti quei rischi che sono immaginati come “democratici” ma che, alla fine, riproporranno nella ripartenza gli stessi problemi strutturali.

Lasciatemi, quindi, ipotizzare che le nuove classi si definiranno non solo in base alla loro esposizione al rischio, ma anche alle capacità oggettive di riprendere un cammino incidentalmente interrotto. Forse è questa la nuova discriminate.

Autore: Anselmo Castelli

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