In piena transizione verso i sistemi di intelligenza artificiale, le stesse aziende hanno appurato il flop di un’estrema informatizzazione, o meglio di una completa spersonalizzazione nei rapporti azienda/cliente.
Le piattaforme online la stanno facendo da padrone nei settori più disparati e tutti gli imprenditori si stanno rendendo conto che adeguarsi a questo cambiamento è necessario, magari passando a sistemi di vendita informatizzata. Questo potrebbe portare a una domanda provocatoria: la figura del commerciale è ancora necessaria nel mercato digitale? Prima di rispondere va rilevato che, anche in piena trasformazione digitale, la figura del consulente commerciale resta una delle più ricercate dalle aziende, anche nel momento attuale di crisi economica.
Il commerciale del nuovo millennio, in ogni caso, è lontano anni luce dal venditore del secolo scorso. Oggi è indispensabile un’ampia gamma di competenze che va dalle lingue straniere all’analisi dei c.d. “macro dati”, che non risultano più di competenza esclusiva del reparto marketing. Infine, solo in ordine espositivo ma non certo d’importanza, il commerciale dell’era digitale dev’essere un ottimo conoscitore degli ambienti online, social e mercati digitali.
Ciò detto, possiamo rispondere al quesito inziale, ossia: servono ancora i commerciali? Assolutamente si. Nell’ambito del commercio online diversi studi dimostrano che la decisione di acquisto senza l’intervento di un addetto alla vendita si può concretizzare solo in caso di prodotti di valore limitato o di prodotti di marca.
Il meccanismo di pensiero che innesca l’acquisto è, nel primo caso, che in ipotesi di errore, l’utente conosce l’ammontare del danno (il valore medio d’acquisto si aggira intorno ai 100 €); nella seconda ipotesi, vi è invece una conoscenza del marchio che agli occhi del consumatore riduce sensibilmente il margine di errore (tale fiducia si basa sulle precedenti esperienze e sulla reputazione attribuita a quel prodotto o servizio). In mancanza di questi due presupposti, il mero acquisto online non funziona.
Risulta quindi necessaria una persona che ci traghetti, un c.d. Caronte digitale, alla decisione finale dell’acquisto dal momento che, nei momenti salienti della trattativa, l’intervento umano è indispensabile per il superamento delle obiezioni e il successo dell’operazione commerciale. Sui limiti dei soli sistemi digitali, basti fare l’esempio della telefonia, dove gli operatori sono rimpiazzati da “dischi vendita”, risponditori automatici e negozi online. Se l’attesa telefonica o la navigazione web diventa irritante, la soluzione per il cliente è radicale: rivolgersi a un’altra azienda.
L’errore, a mio sommesso avviso, sta nel fatto di non aver considerato un elemento fondamentale: il rapporto azienda / cliente è, prima di tutto, un rapporto umano. Ovviamente non solo le aziende telefoniche ma tutti gli operatori economici si sono resi conto che, sebbene la completa digitalizzazione del servizio pre o post-vendita comporti un risparmio economico, la completa perdita di rapporto umano con il cliente genera pregiudizi intollerabili per le aziende.
Oltretutto come accennato, il commerciale, oltre a mantenere (seppur non sempre “faccia a faccia”) un rapporto umano con il cliente, si fa “lettore” di diversi dati che non possono essere elaborati da software o intelligenze artificiali di sorta. Ancora: il commerciale, essendo sul campo, può intercettare preventivi e offerte della concorrenza in modo da consentire alla propria azienda di poter adottare le contromisure necessarie.
Possiamo pertanto concludere che per il commerciale, la transizione digitale va letta come un’opportunità di crescita in termini di competenza e professionalità; i consulenti che vorranno rimanere arroccati sui vecchi schemi perché “hanno sempre fatto così”, credo faranno la stessa fine dei costruttori di cabine telefoniche che hanno voluto osteggiare l’avvento degli smartphone.
Autore: Stefano Mulazzi