Dopo la chiusura forzata disposta per fronteggiare l’emergenza Covid-19, si dovrà agire sulla necessità di relazione delle persone per spingerle a un riavvio dei consumi.
Non è solo questione di consumi. E non si tratta solo di incentivare la spesa delle famiglie e di promuovere il ciclo della ripresa attraverso il meccanismo della domanda. Tutto è interconnesso e l’azione di rilancio deve essere multidimensionale: circondare il nemico con un’azione a tenaglia.
Eh sì, chi ha voglia di consumare in solitudine? Come si fa a convincere le persone a riprendere le abitudini relazionali del ristorante in compagnia, delle cene tra amici, delle vacanze di gruppo, del comprare vestiti per farsi vedere dagli altri?
Consumo e relazione sono due cose inscindibili, ma se può esistere la relazione senza consumo è difficile pensare al consumo senza relazione. A meno che non si tratti di una mera questione di sopravvivenza, del mangiare per sostentarsi o del vestirsi per non dare scandalo.
La crisi Covid-19 è stata, è ancora e sarà grave, proprio perché non ha in realtà colpito direttamente i consumi, ma ha interessato direttamente l’elemento che consente ai consumi di esistere, di svilupparsi, di cambiare nella moda, di rinnovarsi a ogni stagione. Non è il bisogno in sé, ma è la relazione che fa esistere i consumi, li alimenta, li provoca e li interrompe. E sono i consumi che facilitano le situazioni relazionali: una serata che inizia in un ristorante, con la persona amata o magari con un regalo.
E con le famiglie, i bambini, la gita domenicale, il gelato, le nuove scarpe da calcio, il pallone bucato. È un gioco di rimandi che inizia dalla voglia di stare insieme.
Dopo la sbornia dello smart working e del telelavoro, leggevo un interessante articolo di Carlo Ratti sul bisogno di tornare in ufficio e di recuperare non tanto i legami forti, quelli consolidati da anni, quelli che, alla fine, non costituiscono più uno stimolo, ma i legami deboli, le nuove conoscenze.
Mi ha incuriosito l’idea che siano proprio questi ultimi i più stimolanti e innovativi, le persone nuove, gli incontri casuali, la diversità e la curiosità stimolata da nuove conoscenze. Qualcuno ha già ipotizzato la necessità per le imprese di prevedere spazi indifferenziati, destinati al solo incontro casuale tra operatori di diversi reparti, per conoscersi, scambiare idee, produrre nuove connessioni.
È un approccio molto diverso dall’idea che sia possibile trovarsi in cima a una montagna o chiusi in casa e mantenere un contatto intimo e in tempo reale con azienda e colleghi.
Sono riflessioni che stanno dalla parte dell’organizzazione del lavoro, dove la relazione è vista come fattore produttivo innovativo, ma valgono anche dal lato del consumo.
Quello che è mancato nella fase di chiusura non sono stati i legami forti, quelli che persistono anche in caso di sole relazioni telefoniche o di videochiamate. Sono mancati i legami deboli, il solito barista che ci faceva il caffè, il collega dell’ufficio accanto, i compagni di calcetto, gli amici della messa domenicale. Ma soprattutto è mancata la possibilità di nuove conoscenze, dell’incontro fortuito, della vecchia amicizia ritrovata che ci fa ripensare e riorientare i nostri comportamenti.
Non è naturalmente semplice fare leva sulla relazionalità in presenza proprio di un elemento che la impedisce in modo così radicale. L’unico vaccino per ora disponibile è la nostra educazione e il rispetto degli altri, ma le aperture guidate e controllate sono necessarie, non solo per il nostro benessere psicofisico, ma per un discorso anche solamente economico.
Anche perché, diciamoci la verità, cenare da soli in un ristorante semivuoto non è mai stato l’intimo desiderio di nessuno.
Autore: Anselmo Castelli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli Srl