Reato di omissione dolosa delle cautele antinfortunistiche

Reato di omissione dolosa delle cautele antinfortunistiche

Per la Corte di Cassazione sussiste il delitto di omissione dolosa di cautele antinfortunistiche quando si pone in pericolo non solo l’incolumità dei lavoratori, ma anche quella di terzi che potrebbero frequentare l’ambiente lavorativo.

Il quesito che sta alla base della sentenza della Corte di Cassazione 9.06.2023, n. 24945, e che riguarda l’omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, è sostanzialmente questo: il reato sussiste quando si pone in pericolo esclusivamente l’incolumità del titolare di un’azienda o dei propri dipendenti o anche quella di terzi che potrebbero frequentare il luogo di lavoro?

La vicenda trae origine dalla condanna in primo grado subita da un datore di lavoro per “non avere collocato, nonostante i provvedimenti prescrittivi in tal senso già emessi nei suoi confronti, idonea cartellonistica relativa ai carichi di alcuni scaffali, di non avere predisposto mezzi e impianti di estinzione, di non avere realizzato uscite di emergenza adeguate e di non avere installato cartellonistica relativa alle emergenze antincendio e a queste connesse”. 

Le motivazioni che il condannato ha posto alla base del ricorso in appello, ossia difficoltà economiche, da un lato, e, dall’altro, il fatto che in pericolo sarebbe stato esclusivamente per sé stesso poiché il magazzino al quale si riferiscono le contestazioni era gestito esclusivamente da lui senza che la ditta individuale avesse altri dipendenti, sono state respinte perché le prime non sono state provate e perché il delitto, “posto a tutela dell’incolumità pubblica, è configurabile ogni volta che possa prefigurarsi un pericolo anche per terzi, estranei all’impresa, che dovessero accidentalmente accedere ai luoghi di lavoro”.

La Corte di Cassazione, chiamata a esprimersi in proposito e motivando il rigetto del ricorso, ha confermato che, affinché si concretizzi il reato di cui all’art. 437 c.p. (“Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da 3 a 10 anni”), è necessario che “l’omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo”.

Ciò perché “la collocazione sistematica della norma e la finalità cautelare da questa perseguita impongono di ritenere che la corretta interpretazione della stessa sia quella nella quale si attribuisce rilievo all’astratta attitudine della condotta illecita a porre in pericolo l’incolumità pubblica, non potendo ritenersi che la norma si riferisca a un rischio concreto circoscritto a un singolo soggetto”.

Bene hanno fatto, quindi, le Corti territoriali a valutare la sussistenza del reato non limitando la valutazione della potenziale offensività della condotta in riferimento ai soli soggetti materialmente coinvolti, ma tenendo conto anche “dell’attitudine del comportamento illecito ad attingere tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con quell’ambiente lavorativo”. Cosa, peraltro, avvenuta in passato nell’azienda del ricorrente, visto che è stato provato l’accesso in diverse occasioni dei genitori dello stesso e di estranei dipendenti di ditte esterne.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
Autore: Giorgia Granati – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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