Tra i doveri, anche quello di impegnarsi in un’azione propositiva e informativa nei confronti del datore di lavoro per gli aspetti che rientrano nella propria area professionale.
La legislazione in materia di sicurezza sul lavoro assegna al medico competente una funzione determinante nella tutela della salute: egli ha infatti la responsabilità di concorrere alla valutazione dei rischi e di assicurare al datore di lavoro il necessario supporto tecnico-pratico nella scelta delle misure da adottare per le problematiche della sfera sanitaria.
La sentenza di Cassazione Penale, Sez. IV, 1.06.2021, n. 21521 prende in esame l’incidente di un infermiere professionale che, pungendosi accidentalmente con un ago privo di dispositivo di sicurezza durante un prelievo di sangue, ha contratto il virus dell’epatite con la conseguente necessità di sottoporsi a una cura farmacologica protratta nel tempo. La malattia ha avuto durata superiore a 40 giorni considerato il trattamento necessario per debellare il virus e gli effetti collaterali, oltre alla forzata inattività per ragioni di salute nel periodo.
Al medico competente è stato imputato di non aver previsto l’adozione di aghi cannula-protetti nel documento di valutazione dei rischi alla cui stesura era chiamato a collaborare, dato che il rischio biologico per il personale sanitario di contrarre patologie infettive per via ematica a causa di punture e ferite da aghi e taglienti contaminati è ben noto e ricorrente nella realtà ospedaliera e ampiamente trattato nella normativa specialistica.
L’omissione è stata ritenuta effettiva, con una reale incidenza rispetto al verificarsi dell’evento, perché una puntuale segnalazione circa la pericolosità dei dispositivi privi di protezione e la necessità di una loro sostituzione avrebbe orientato la spesa, inducendo all’immediato acquisto di aghi protetti in base ad un palese rapporto costi-benefici. L’approvvigionamento non avrebbe del resto trovato ostacoli in termini di costi come emerso dalle testimonianze acquisite. La ripetuta segnalazione alla direzione sanitaria in sede di riunione periodica annuale e la proposta di adottare i presidi suggeriti, tesi sostenute dall’imputato, non hanno trovato nei fatti alcun riscontro documentale.
Il medico ha proposto ricorso contestando sia la durata della malattia superiore a 40 giorni calcolata in modo difforme dal concetto clinico, che presuppone il requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, sia l’illogica assoluzione di datore di lavoro e direttore del Pronto Soccorso con i quali egli era chiamato a collaborare, circostanza che avrebbe giustificato l’immediata decadenza della propria responsabilità solo concorrente.
Nella pronuncia definitiva è stato viceversa ribadito che nel concetto di malattia rilevante per l’integrazione del reato di lesioni personali rientrano alterazioni che comportano limitazioni funzionali o processi patologici significativi incluso un loro aggravamento o che possono compromettere funzioni dell’organismo anche in modo non definitivo ma rilevante. La lesione personale è definita grave se l’incapacità di svolgere occupazioni ordinarie si protrae oltre i 40 giorni secondo un indirizzo consolidato che computa nella malattia anche il periodo di convalescenza o di riposo.
Il medico competente nel proprio ambito professionale rappresenta un garante a tutti gli effetti e l’obbligo di collaborare con il datore di lavoro rende necessaria una sua integrazione nel contesto aziendale: non può limitarsi ad assumere un ruolo passivo, ma è chiamato a sollecitare azioni concrete attraverso un’attività propositiva e informativa nel proprio ambito professionale.
Autore: Lorenza Rossi – Sistema Ratio Centro Studi Castelli
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