Retribuzione equa e sufficiente

Retribuzione equa e sufficiente

Se i minimi salariali sono considerati non sufficiente e i Ccnl dei settori affini non aiutano, allora il Giudice può rivolgersi agli indicatori utilizzati per misurare la soglia di povertà.

La Corte di Cassazione, con le sentenze 2.10.2023, nn. 27711 e 27769, ha stabilito che, ai fini dell’individuazione della retribuzione equa e sufficiente prevista dall’art. 36 della Costituzione, si deve, preliminarmente, verificare la stessa rispetto a quanto stabilito dal Ccnl.

Se i minimi salariali sono considerati non sufficiente e i Ccnl dei settori affini non aiutano, allora il Giudice può rivolgersi agli indicatori utilizzati per misurare la soglia di povertà: l’indice Istat, i dati UniEmens per il calcolo del salario medio, il valore della NASpI e i trattamenti di integrazione salariale.

Le citate sentenze della Sezione Lavoro, di contenuto praticamente identico, affrontano il tema dell’applicazione del principio costituzionale della retribuzione sufficiente in maniera innovativo, per qualcuno addirittura rivoluzionario.

Sicuramente siamo di fronte a un’importante svolta giurisprudenziale, che condizionerà anche il dibattito politico sul salario minimo legale.

L’evoluzione giurisprudenziale rappresentata da queste due decisioni è, probabilmente, anche la naturale conseguenza della Direttiva UE 2022/2041 del 19.10.2022 e di quanto stabilito al capo II del pilastro europeo dei diritti sociali – Göteborg 17.11.2017. Secondo tale principio devono “essere garantiti salari minimi adeguati che soddisfino i bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, salvaguardando nel contempo l’accesso al lavoro e gli incentivi alla ricerca di lavoro”.

La pronuncia (sentenza n. 27711/2023) nasce dal ricorso di un lavoratore che riteneva il proprio salario (Ccnl vigilanza privata) non conforme all’art. 36 della Costituzione. Il lavoratore, pertanto, chiedeva al Giudice l’accertamento del suo diritto a un trattamento retributivo minimo non inferiore a quello previsto per il livello D1 del

Ccnl dei dipendenti di proprietari di fabbricati. Il lavoratore, inoltre, ha “subito”, nel corso degli anni, numerosi cambi di appalto con l’applicazione di diversi Ccnl sempre peggiorativi. Molti di questi erano, comunque, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Di fatto, il dipendente vedeva diminuire la sua retribuzione pur svolgendo da sempre la stessa attività lavorativa.

L’impressione che le indicazioni europee abbiano in qualche modo influenzato la svolta giurisprudenziale trova conferma nel fatto che la stessa Cassazione, in passato, ha affermato, ripetutamente, che il parametro per verificare la “giusta retribuzione” è rappresentato dai minimi salariali contenuti nel Ccnl di settore, stipulato dalle OO.SS maggiormente rappresentative.

Le eccezioni erano rarissime e associabili a circostanze particolari, la regola generale era quella del riferimento ai minimi previsti dai Ccnl. La dottrina su questo orientamento ha elaborato il principio della “estensione erga omnes di fatto” dell’efficacia di quei contratti, nonostante la mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione, la Cassazione censura le sentenze della Corte d’Appello di Milano e di Torino, che avevano invece considerato rispettosa dei principi sanciti dall’art. 36 la retribuzione determinata secondo il Ccnl rinnovato pochi mesi fa da Cgil, Cisl e Uil per il settore dei servizi fiduciari, nonostante il compenso orario complessivo ivi previsto si collocasse al di sotto, sia pur di poco, dei 7 euro l’ora.

Ora la palla ritorna ai giudici di merito che dovranno verificare se la retribuzione minima corrisponda ai parametri sanciti dall’art. 36 della Costituzione e, nell’ambito dei propri poteri ex art. 2099, c. 2 c.c., potranno ricorrere, ove necessario, agli indicatori economici e statistici evidenziati dalla Cassazione.

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Maurizio Fazio – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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