Quando si parla di eccellenze si pensa spesso a prodotti di nicchia, cibi costosi e a volte introvabili. L’ennesimo record della DOP economy italiana dimostra, invece, che è più corretto parlare di alta qualità diffusa a prezzi ragionevoli.
Il XX Rapporto Ismea – Qualivita calcola che il sistema degli 845 prodotti a denominazione protetta (319 nel settore cibo e 526 nel vino) vale 19,1 miliardi di euro alla produzione (+16,1% su base annua), con l’export che raggiunge 10,7 miliardi di euro (+ 12,8%). Il punto di forza è l’attività dei 198.842 operatori (controllati da 291 consorzi di tutela) che non può essere delocalizzata.
Le filiere dei prodotti a marchio crescono in modo quasi omogeneo in tutto il Paese.
Il Lazio, dove l’impatto dei 65 prodotti tutelati sul totale della produzione alimentare è di appena il 3% contro una media nazionale del 21%, è tra le Regioni con più margini di sviluppo. Il comparto del cibo (29 prodotti) è cresciuto del 19,1% a fronte di un calo (caso unico in Italia) del vino (26 prodotti) del 3,3%. Roma con un giro d’affare di 64 milioni è la Provincia che produce più DOP/IGP/STG, seguita da Viterbo (25), Latina (19) e Frosinone (13).
Il ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare sta valutando l’ipotesi di valorizzare i prodotti DOP nei musei.
Non mancano, ovviamente, alcune criticità da affrontare a partire dalle incertezze della nuova politica europea.
Purtroppo, neanche nel contesto nazionale, le cose sembrano molto chiare. Esemplare la moltiplicazione di marchi territoriali pubblici, come i 5.540 Pat (Prodotti agricoli tradizionali) e le centinaia di De.Co (Denominazioni comunali).
Questa proliferazione rischia piuttosto di generare un disorientamento per i consumatori e pone difficoltà alle imprese; si instaura, infatti, una sorta di concorrenza sleale fra le aziende che aderiscono ai rigidi controlli per le DOP IGP e le altre che possono fregiarsi di un marchio pubblico, pur senza vincoli particolari.
Autore: Paolo Lacchini – Sistema Ratio Centro Studi Castelli