Unimpresa, lo Stato campa tassando lavoro e consumi

Oltre il 75% del gettito fiscale in Italia arriva da Irpef e Iva: se la tassa sui redditi da lavoro dipendente vale, con i suoi 205,8 miliardi di euro, il 41,2% degli incassi dello Stato, il balzello sui consumi si attesta, con 171,6 miliardi, al 34,3%. Lo Stato italiano, insomma, “campa” tassando lavoro e consumi, che fruttano 377,4 miliardi su quasi 500 miliardi complessivi di gettito, mentre tutti gli altri tributi e imposte (compresi i prelievi sui big della finanza e sulle rendite finanziarie) valgono 122,4 miliardi, pari al 24,5% del totale.

I fumatori pagano 11 miliardi (2,2%) per il loro vizio, mentre la tassa sulla speranza (giochi e lotto) si attesta a 5,6 miliardi (1,1%). È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale dalle imprese, comprese le grandi aziende, le banche e i gruppi industriali, nelle casse pubbliche arrivano “solo” 45,6 miliardi (9,1%) e i proventi finanziari, invece, assicurano l’1,8% del gettito (8,9 miliardi).

Secondo il report del Centro studi di Unimpresa, il totale del gettito fiscale nel 2022 si è attestato a 499,8 miliardi di euro. La tassa “più importante” è l’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) con i suoi 205,8 miliardi di gettito, pari al 41,2% del totale. In seconda posizione, c’è l’Iva (imposta sul valore aggiunto) che vale 171,6 miliardi (34,3%), mentre al terzo posto si piazza l’Ires (imposta sul reddito delle società) con 45,6 miliardi (9,1%).

Lavoro e consumi, insomma, valgono 377,4 miliardi, cioè il 75,5% del gettito totale, percentuale che sale all’84,6% se si somma anche l’incasso dell’Ires per complessivi 423 miliardi. L’intera galassia delle accise frutta complessivamente 35,5 miliardi pari al 7,1% del totale: nel dettaglio, le accise sui prodotti energetici garantiscono 18,1 miliardi (3,6%), quelle sui tabacchi 10,9 miliardi (2,2%), quelle sul gas naturale 3,7 miliardi (0,7%), quella sull’energia elettrica 2,8 miliardi (0,6%), quella sull’alcol 800 milioni (0,2%).

Passando alle attività e agli investimenti finanziari, l’imposta sostitutiva sui proventi vale 8,9 miliardi (1,8%).

Tutto l’universo dei bolli, poi, garantisce 7,6 miliardi (1,5%), mentre da giochi e lotto (la tassa sulla speranza) arrivano 5,6 miliardi (1,1%). L’imposta di registro, applicata su vari atti pubblici, comprese le compravendite immobiliari, incide sul gettito statale per 5,5 miliardi (1,1%), il balzello sulle assicurazioni vale 4,2 miliardi (0,8%), l’Imu (imposta municipale unica) 4 miliardi (0,8%), il canone tv 1,9 miliardi (0,4%), le imposte ipotecarie 1,8 miliardi (0,4%) e la tassa su successioni e donazioni 1 miliardo (0,2%).

Più nel dettaglio, per quanto riguarda l’Iva in Italia, che nel 2023 compie 50 anni dalla sua entrata in vigore (1.01.1973), va ricordato che l’aliquota ordinaria era stata fissata in partenza al 12% nel 1973, per poi salire al 14% nel 1977, al 15% nel 1980, al 18% nel 1984, al 19% nel 1989, al 20% nel 1997, al 21% nel 2011 e al 22% nel 2013.

L’aliquota media applicata nell’Unione europea è pari al 21,5%: i Paesi con prelievo più alto rispetto all’Italia, sono: Ungheria (27%); Croazia, Danimarca e Svezia (25%); Finlandia e Grecia (24%); Irlanda, Polonia e Portogallo (23%). I livelli più bassi, invece, si trovano in Lussemburgo (17%) e Malta (18%).

L’aliquota ridotta, in Italia, oggi al 10% massimo, nella fase inziale era al 6%, mentre quella super-ridotta, introdotta nel 1991, è sempre rimasta al 4%. Dal 1973 al 1991 era in vigore anche una aliquota maggiorata: inizialmente fissata al 18%, salita al 30% nel 1975, al 35% nel 1977, al 38% nel 1982, dopo ulteriori modifiche è stata definitivamente abolita nel 1993.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
Autore: Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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