Uomo, ambiente e radici imprenditoriali

Nonostante l’attualità scottante, non esiste ancora a livello individuale la consapevolezza di un rapporto con la natura che, traendo spunto dalla propria genesi filosofica, si trasferisca concretamente nella quotidianità tanto da condizionarla.

Può essere però confortante il fatto che sia comunque presente in maniera diffusa la percezione di uno squilibrio ambientale, imputabile per lo più all’abuso delle risorse terrestri da parte della società o delle attività produttive, o almeno al modo in cui la stessa amministra abitualmente processi produttivi, risorse rinnovabili e non, sistemi di verifica e previsione dei fenomeni naturali che entrano con ruoli attivi nella regolazione dell’ecosistema mondiale.

Alcune cose non sono cambiate. Ancora oggi meno del 20% della popolazione mondiale utilizza oltre l’80% delle risorse naturali, intese in senso lato e, limitando l’analisi al patrimonio marino, la percentuale non scende comunque al di sotto del 30%.

Se il mondo piange, l’Italia non ride. Nel nostro Paese, infatti, mentre assistiamo a logiche e motivate proteste contro la distruzione progressiva della foresta amazzonica (oggi, dato condiviso, esiste la metà delle foreste tropicali che esistevano solo 50 anni fa e, proseguendo di questo passo, le stesse sono destinate ad un esaurimento precoce, stimato probabilmente entro il 2037), la produzione di rifiuti pro capite è di circa 10 tonnellate (negli Stati Uniti addirittura 864) e le discariche sono ancora diffuse sul territorio in modo significativo (secondo il Ministero dell’Ambiente già nel 1997 le discariche presenti sul territorio erano 2.200, quelle abusive almeno 1.400).

Nel nostro Paese, inoltre, viviamo ogni giorno conseguenze abbastanza rilevanti sull’ecosistema: nel Nord del territorio, il consumo del suolo per scopi industriali ha prodotto un rilevante dissesto idrogeologico oltre ad impoverire di oltre il 70% la disponibilità di risorse.

La situazione non è certo migliore nel campo dell’utilizzo di forme energetiche alternative: il crescente utilizzo delle risorse naturali (petrolio, gas metano, carbone) ha spinto il settore industriale verso l’utilizzo di nuove tecnologie, in grado di produrre un risparmio energetico di circa il 20-30%, ma la ricerca prima e lo sviluppo poi delle stesse sono frenati dalla “concorrenza” dei Paesi del cosiddetto “Terzo Mondo“, dove la manodopera continua a costare molto meno e le risorse naturali, soprattutto nei territori meno sviluppati, sono ancora sfruttabili senza troppi intoppi burocratici.

Anche l’intervento legislativo per la tutela dell’ambiente, pur se fondamentale e apprezzabile in ogni caso, finisce spesso col risultare tardivo se commisurato ai danni che lo hanno fatto scaturire e specie se inserito in un contesto che abbiamo definito prima di tutto culturale.

Un paio di esempi: la Direttiva CEE seguita all’incidente di Seveso (1976) è stata recepita in Italia solamente nel 1988 (D.P.R. 175/1988 per la prevenzione) e, nel campo della riduzione dei rifiuti e del recupero energetico, il primo intervento deciso (la Legge Ronchi) risale al 1997 (quando i dati nazionali come si diceva erano già preoccupanti).

Dal punto di vista politico e legislativo, si assiste dunque ad una sorta di corsa ai ripari, encomiabile e necessaria ma spesso non dovutamente produttiva dal punto di vista della prevenzione.

La prevenzione parte da una recuperata filosofia ambientale individuale strettamente connaturata al concetto stesso di imprenditorialità, che in prima persona deve marciare, dopo aver rifatto proprio un paritario rapporto uomo-natura, verso il basilare concetto di “sviluppo sostenibile“, definito dal Rapporto CEE Brunland (1988) “uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri“.

Occorre dunque che in ogni contesto ci si convinca fermamente che ognuno può in prima persona dare un contributo per sradicare l’ipotesi ancora diffusa che vede la terra, l’aria e le loro incredibili risorse come inesauribili e a disposizione dell’uomo.

Niente di nuovo, in fondo: Lucrezio sosteneva, ribaltando la concezione provvidenzialistica dell’universo tipica dello Stoicismo, come fosse da rifuggire qualsiasi forma di finalismo antropocentrico, dato che la Natura non lavora per l’uomo, unico essere vivente contro cui la stessa assume, anzi, atteggiamenti a volte ostili (“De Rerum Natura” – I Sec. A.C.). 

Autore: Cristiano Corghi – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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