Possibile usucapire le quote degli eredi, fermo restando che il possessore manifesti un possesso esclusivo, incompatibile con il godimento da parte degli altri coeredi. Una recente ordinanza della Cassazione Civile ha chiarito la questione.
Una delle citazioni più belle che ci ha lasciato Papa Giovanni Paolo II è: “Ricco non è colui che possiede, ma colui che dà, colui che è capace di dare”. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi: non tutti la pensano in tal modo, soprattutto quando l’occasione è ghiotta. Un esempio speculare, a parere di chi scrive, è l’usucapione dell’eredità. Come è noto, l’usucapione è un modo di acquisto della proprietà o di altro diritto reale, a seguito del possesso pacifico, non violento e ininterrotto di un bene mobile o immobile, per un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge.
La norma di riferimento sull’usucapione dell’eredità è l’art. 714 c.c.: “Può domandarsi la divisione anche quando uno o più coeredi hanno goduto separatamente parte dei beni ereditari, salvo che si sia verificata l’usucapione per effetto del possesso”.
Nell’ultima parte, che è la più incisiva, per l’argomento trattato, la norma ci dice, concretamente, che la divisione è ostacolata dall’usucapione acquisita in virtù del possesso esclusivo, che deve essere incompatibile con il godimento altrui e che si verifica con il passaggio dal possesso comune al possesso esclusivo. In linea generale, l’erede che esercita il possesso sui beni entrati a far parte della successione, può acquisirne la proprietà o altro diritto reale, a svantaggio degli altri coeredi, purché sussistano determinati presupposti:
● il coerede deve aver esercitato il possesso in via esclusiva, impedendo agli altri di utilizzarlo;
● deve essere trascorso tutto il tempo previsto dalla legge per usucapire e il possesso deve essersi svolto in modo manifesto e senza interruzioni;
● il coerede deve essersi comportato come l’effettivo proprietario del bene (c.d. “animus possidendi”);
● il possesso deve essere stato riconoscibile dagli altri coeredi, che non devono aver sollevato obiezione alcuna.
Si evidenzia che l’usucapione dei beni ereditari può verificarsi anche a favore di un non coerede, che ha posseduto i beni dell’asse ereditario.
Fatte queste premesse, occorre ricordare che la Cassazione, per la particolarità dell’istituto disciplinato dall’art. 714 c.c., è intervenuta più volte in materia. Alcune sentenze (nn. 7221/2009, 5226/2002 e 7075/1999) hanno stabilito che, nel rispetto dei principi della successione legittima (che interviene nel momento in cui il de cuius non dispone dei suoi beni per testamento), a ciascun erede spetta una quota dell’eredità, la cui entità varia in base al numero e al rapporto che legava gli eredi al defunto.
Con la recente ordinanza 18.07.2022, n. 22504, la Cassazione Civile, sezione sesta, è tornata a pronunciarsi con il medesimo orientamento consolidato in materia di usucapione dell’eredità: il coerede che dopo la morte del de cuius è rimasto nel possesso del bene ereditario, può usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo di possesso; a tal fine, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede gode del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus.
A tale riguardo, non è univocamente significativo che egli abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato anche nell’interesse anche degli altri coeredi (Cassazione civile sez. II, 16.01.2019, n. 966; Cass. 4.05.2018, n. 10734; Cass. 25.03.2009, n. 7221). A tal fine, non è sufficiente il semplice fatto che gli altri partecipanti alla comunione ereditaria si siano astenuti dall’uso comune della cosa. Piuttosto, è necessario che il singolo coerede abbia goduto del bene, in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui ed abbia manifestato, inequivocabilmente, la volontà di escludere gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene. La Corte di Cassazione ha precisato che tale volontà non può essere desunta dal semplice fatto che il coerede ha amministrato il bene e ha provveduto alla sua manutenzione e al pagamento delle imposte, giacché si deve presumere che tali attività siano state compiute nella
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Un’altra questione è se la presentazione della dichiarazione di successione e conseguente domanda di voltura, da parte del coerede-possessore, a favore anche degli altri coeredi, implichi o meno il riconoscimento del diritto altrui ai fini interruttivi dell’usucapione. È da ritenere che non vi sia riconoscimento del diritto altrui, in quanto tali operazioni non rappresentano un titolo idoneo all’attribuzione del diritto di proprietà, ma rilevano solo ai fini fiscali (Cassazione civile, sent. 12.06.1987, n. 5135).
Gli atti interruttivi dell’usucapione sono espressamente indicati negli artt. 1165 e segg. c.c. e, tra questi, non figura la dichiarazione di successione. Al fine di bloccare l’usucapione, è necessario intraprendere un’azione giudiziaria con cui richiedere la restituzione dell’immobile nei confronti del possessore.
Sicuramente meno costosa e decisamente più breve è l’alternativa di ricorrere alla domanda di mediazione civile (D.Lgs. 28/2010), che è obbligatoria in materia di diritti reali quale condizione di procedibilità e vale a interrompere l’usucapione del bene caduto in successione. Un argomento molto particolare, specifico, di nicchia. Vale senz’altro la pena approfondire, per fornire la necessaria consulenza, all’occorrenza.
Autore: Valeria Tomatis – Sistema Ratio Centro Studi Castelli