La progressione della campagna per l’immunizzazione impone ai datori di lavoro di interrogarsi sul rifiuto dei lavoratori. La posizione delle OOSS del Turismo.
La campagna vaccinale a protezione dell’infezione da Covid-19 prosegue, seppur più lentamente rispetto agli iniziali proclami, e i datori di lavoro pubblici e privati si trovano, per la prima volta, di fronte all’amletico dubbio: obbligo o non obbligo i dipendenti a vaccinarsi? È evidente che l’interrogativo, la cui risposta non è affatto scontata, mira tra le altre cose a eliminare (o ridurre) le complesse previsioni elencate nel protocollo condiviso con le parti sociali (il 24.04.2020) volte a contenere il virus negli ambienti di lavoro e ridurre, parallelamente, il rischio di essere chiamati a rispondere in caso di malattia (o di decesso) del lavoratore qualora sia stato accertato il nesso di causalità tra il contagio e l’ambiente di lavoro.
Come detto, la questione non è di facile soluzione in quanto il legislatore non ha scelto di imporre forzosamente il vaccino, conscio forse anche dei delicati problemi di rango costituzionale. Infatti, si corre sul filo dell’equilibrio tra le libertà garantite dalla Costituzione e l’obbligo dell’imprenditore di garantire la massima sicurezza possibile sul luogo di lavoro. E una prima riflessione potrebbe portare a concludere che il vaccino, stante anche le previsioni del D.Lgs. 81/2008 che impongono di ridurre al minimo i rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico-scientifico, possa essere trattato al pari di un qualunque altro dispositivo di protezione individuale (DPI).
Il dibattito non infiamma solo i datori di lavoro ma anche le parti sociali, in particolare quelle che rappresentano i lavoratori che sono abitualmente a contatto con il pubblico. Ci si riferisce qui ai lavoratori del settore del turismo e del commercio. È condiviso dalle organizzazioni sindacali che essi meritino “una particolare attenzione nell’attuazione del Piano di Vaccinazione anti-Covid-19 nell’ambito del piano strategico definito dal Ministero della Salute.
In particolare, i lavoratori meritano che, ultimata la prima fase mirata alla tutela degli operatori sanitari, forze pubbliche e soggetti fragili, venga a essi assicurata priorità di vaccinazione contro Sars-CoV-2/Covid-19, considerando in primo luogo la necessità di tutela delle attività che continuano a garantire il servizio senza soluzione di continuità dall’inizio della pandemia” (si veda avviso comune del 1.02.2021). In tal senso le organizzazioni sindacali datoriali e dei lavoratori hanno sottoscritto, il 26.01.2021, un protocollo di intesa nel quale convengono che la vaccinazione contro il Covid-19 sia un utile strumento a garantire in piena sicurezza l’attività turistica sia per gli addetti che per la popolazione, pertanto viene richiesto l’inclusione di tale addetti tra i soggetti prioritariamente destinatari del vaccino.
Auspicando la più alta adesione dei lavoratori (si dà evidenza della volontarietà), le parti concordano di attivarsi per promuovere corrette campagne di informazione e sensibilizzazione tra i lavoratori.
È indubbiamente una chiara presa di posizione ma, a parere di chi scrive, non è risolutivo per i datori di lavoro che si trovano tra l’incudine e il martello. Un tema così delicato come la salute, non può essere esclusivamente relegato alla libertà di scelta e alla sensibilizzazione: diventa urgente un risolutivo intervento normativo che sbrogli il nodo gordiano e si sbilanci o verso l’obbligo oppure verso la volontarietà, ma liberando il datore di lavoro da qualsiasi responsabilità, salvo il dolo.
Autore: Luca Caratti – Sistema Ratio Centro Studi Castelli Srl