Una delle più promettenti declinazioni del food delivery: la cucina chiusa o Dark Kitchen o Cook Room che dir si voglia.
Con chiusure obbligate ed evoluzione “spinta” delle consegne a domicilio (food delivery), la sala ristorante si è trasferita nei soggiorni delle case private e il mondo della ristorazione ha dovuto ripensare al proprio modelli di business. In questo contesto le Dark Kitchen, che avevano già fatto timidamente capolino negli anni scorsi, hanno cominciato a diffondersi.
Con il temine Dark Kitchen, spesso confuso e sovrapposto con quello di Ghost Kitchen, si fa comunque riferimento a una cucina chiusa e completamente dedicata al delivery, a un ristorante senza sala e che non prevede l’apertura al pubblico. Una formula inizialmente pensata per gestire gli ordini dei piatti, distinguendo quelli destinati alla “sala” del ristorante e quelli destinati al “domicilio”.
In Italia è stata Glovo, una delle più note piattaforme di digital delivery food, ad aprire nel 2019 la sua Cook Room o Dark Kitchen che dir si voglia, cioè uno spazio dedicato alla cucina in outsourcing per i propri partner della ristorazione. Il progetto, nato quindi per la gestione efficace delle cucine e per il potenziamento delle vendite attuato senza aprire nuovi locali, oggi viene necessariamente ripensato.
La pandemia ha infatti imposto nuove riflessioni, nuovi percorsi per reinventarsi, riproporsi, fidelizzare o anche semplicemente per sopravvivere e una Dark Kitchen può essere un’opportunità. Il primo e più evidente vantaggio del “ristorante digitale” è ovviamente la riduzione dei costi derivante da:
– bassi canoni di locazione, perché non servono grandi metrature né alcun posizionamento strategico;
– ridotti costi del personale: non essendoci servizio al pubblico, è superfluo il personale di sala e gli addetti alla cassa e al ricevimento;
– minimi costi di arredo.
A sostegno della soluzione Dark Kitchen si può citare l’ottimizzazione della gestione del personale, il limitato rischio d’impresa conseguente alla possibilità di modificare agevolmente l’offerta ristorativa e il possibile potenziamento del fatturato aprendo “cucine chiuse” anche in città diverse.
Dal punto di vista delle autorizzazioni amministrative e sanitarie, nessun ostacolo per un ristoratore professionista, soprattutto se ci si appoggia a terzi per il delivery e per la gestione digitale degli ordini; altrimenti si pongono problemi di privacy per la raccolta di dati e di rispetto di norme igienico sanitarie per il trasporto.
Dal punto di vista fiscale, pur trattandosi di cessione di piatti pronti e non di somministrazione, la conduzione dell’attività non è poi molto diversa da quella di un ristorante tradizionale e con la legge di Bilancio 2021 sono state introdotte semplificazioni in materia di Iva.
Insomma, il fenomeno delle Dark Kitchen probabilmente sopravviverà al Covid-19 insieme alla digitalizzazione della ristorazione e alla diffusione del delivery.
Autore: Stefania Vercellotti – Sistema Ratio Centro Studi Castelli Srl
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