Ci sono giorni e atti di eroismo che la polvere del tempo non potrà mai cancellare. Uno di questi è il 15 giugno 1918, 105 anni fa tra il monte Grappa e il Piave “inferocito” dalle abbondanti piogge “non passa lo straniero”. Il fiume sacro alla Patria diventa rosso quel giorno, e in quelli successivi, ma il fronte italiano non arretra di un passo.
Da dove nasce il mito della Battaglia del Solstizio? E la famosa scritta “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!” che il bersagliere Ignazio Pisciotta scrisse a Ponte di Piave servì davvero a dare forza agli Italiani?
In quel giugno del ’18 la Germania aveva imposto all’Austria, ormai al collasso, di sferrare sul fronte italiano l’offensiva decisiva ma nella pianificazione sorse una forte disputa tra i generali Hötzendorf (comandante del settore trentino) e Borojević. Il primo riteneva più vantaggioso attaccare sul Grappa, mentre il secondo era convinto che la direttrice principale dovesse puntare sulle Grave di Papadopoli, alle foci del Piave. Alla fine, con una scelta poco oculata, arrivò la decisione di autorizzare l’attacco da entrambi i settori, distribuendo così le forze lungo tutto il fronte e indebolendo l’intero assalto.
Il 15 giugno 1918 cominciò l’offensiva austriaca ma i piani di quell’attacco erano noti al comandante supremo Armando Diaz, che infatti si fece trovare preparato con truppe fresche (i famosi ragazzi del ’99).
Fu così che l’offensiva sul monte Grappa si risolse quasi subito in un fallimento, sul Piave la situazione sembrò in un primo momento migliore per gli austriaci. Le truppe di Borojević attraversarono il fiume e costituirono teste di ponte nella zona del Montello, facendo passare nella destra Piave oltre 100.000 soldati in poche ore, ma le acque ingrossate dalle piogge e l’artiglieria italiana impedirono agli austriaci di consolidare le loro posizioni.
Il 19 giugno gli italiani era passati al contrattacco e già il giorno dopo gli austriaci cominciarono a ritirarsi: la Battaglia del Solstizio segnò la fine di ogni velleità di conquista per gli austriaci, che persero 117.000 soldati e 24.000 prigionieri.
Fu un successo di Diaz, che rassicurò con queste parole il re Vittorio Emanuele III: “Maestà ripassano il Piave, la battaglia d’arresto è vinta, ed è vinta pure la guerra!”. Il fallimento di questa offensiva austriaca fu davvero l’inizio della fine per l’invasore. Si arrivò così alla vittoriosa “Battaglia di Ottobre” sul Piave, che permise agli Arditi e a tutti i soldati italiani di attraversare il fiume Sacro e giungere fino a Vittorio il 30 ottobre 1918, a seguire ciò accadde in tutti i paesi della Sinistra Piave “sotto il giogo nemico” durante il triste “an de la fan”.
Questi sono gli avvenimenti militari ma la gente comune, i residenti e i profughi di guerra, che cosa sapevano della Battaglia del Solstizio? Questa vittoria italiana migliorò la loro vita? Questa notizia fu diffusa tra la gente comune?
A tutte queste domande c’è una sola risposta: NO. Dopo questa battaglia gli uomini dell’imperatore d’Austria-Ungheria, umiliati dalla resistenza italiana, sfiniti da una guerra interminabile, sempre più magri e abbandonati da Vienna, si sfogarono sui civili alla pari di quanto fecero dopo la rotta di Caporetto (24 ottobre 1917).
Caterina Arrigoni, profuga di Valdobbiadene, nel suo diario afferma che nel Vittoriese nel luglio 1918 il comando austriaco impose il sequestro dell’intero raccolto e il suo rigido razionamento, con la conseguenza che in estate il tasso di mortalità aumentò.
“Da molti giorni non è più possibile trovare né carne né polenta a nessun prezzo, in nessun modo – scrive la donna -. Oggi sono otto mesi che fummo dispersi e la morte miete le sue vittime, specialmente tra i profughi. A Cison, Miane, Combai ne muoiono di fame ogni giorno quattro, cinque per villaggio“.
La cocente sconfitta sul Piave e sul Grappa non fu, giustamente, resa ai profughi, nulla, ovviamente, fu scritto sulla Gazzetta del Veneto (il giornale propagandistico stampato in Italia dagli austriaci) ma le “fughe di notizie” arrivarono comunque e galvanizzarono gli Italiani, sottoposti ad occupazione dopo che erano stati liberati nel 1866.
I profughi non cambiarono opinione sui poveri soldati austriaci, erano ragazzi e padri di famiglia che pesavano poco più di 50 chili, si può dire che le loro uniformi sgualcite “stavano in piedi da sole”. Loro non c’entrano niente con le decisioni che arrivavano da Vienna e Berlino.
La Arrigoni ancora nell’inverno del ’17 scriveva: “In via ordinaria gli austriaci fanno il male solo se ciò reca loro un vantaggio: requisiscono per mangiare e molte volte esibiscono un ordine scritto o lasciano un buono. I germanici, invece, fanno il male inutilmente e per il piacere brutale di farlo, baldanzosi e vigliacchi”.
Arrigoni continuava: “Pare che Carlo I si sia rifiutato di passare a ferro e fuoco il Veneto come richiesto dal Kaiser Guglielmo II. I germanici, invece, non rispettano nessuno, nemmeno Iddio. L’imperatore austro-ungarico, al contrario, avrebbe impartito ordini severi ai suoi soldati a beneficio della nostra incolumità personale e delle sostanze in qualità di invasi”.
Dietro all’eroismo del 15 giugno, come vedete, c’è un’altra “faccia della medaglia” su cui è bene riflettere perché di quella vittoria ben poco se ne fecero i nostri antenati, distrutti nell’anima come i loro paesi bombardati dall’artiglieria italiana.
(Foto: Immagini: ÖNB, comune di Moriago della Battaglia, si ringrazia inoltre il professor Raffaello Spironelli).
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