Alle ore 21.15 del 3 settembre 1982 l’Autobianchi A112 con a bordo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (62 anni) e la moglie, infermiera volontaria, Emanuela Setti Carraro (32 anni), in via Isidoro Carini a Palermo viene affiancata da una Bmw dalla quale partono colpi di kalashnikov AK-47. Sarà così, per mano di un attacco mafioso, che verrà assassinato il prefetto incaricato di contrastare Cosa Nostra.
Quest’anno, più degli altri, si ricorda la loro morte: si tratta, infatti, del 40 esimo anniversario della strage. Nel ricordo di tale ricorrenza è stata affissa in ogni caserma dell’Arma dei Carabinieri di tutta Italia, ma anche nei musei e negli edifici pubblici, come nei principali punti di aggregazione, una locandina che ritrae Dalla Chiesa con indosso la sua divisa e la bandiera italiana alle spalle, per permettere di ammirare l’Alto Ufficiale che con il suo impegno ha contribuito a cambiare la storia del nostro Paese.
Incisa la frase “Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli”, che dimostra come egli avesse preso il suo incarico come un vero dovere.
Arruolatosi durante la seconda Guerra mondiale, operò nella Resistenza italiana dove organizzò gruppi di contrasto all’esercito tedesco. Nel 1966 diventò Colonnello in Sicilia, al comando della Legione carabinieri di Palermo, e fu così che incominciò a interessarsi ed a contrastare Cosa Nostra. Tra le tante azioni importanti, svolse indagini sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, legandola alla pista della droga, quindi alla mafia che si era vendicata per gli articoli scritti a riguardo e sull’omicidio di Pietro Scaglione, procuratore della Repubblica di Palermo.
Cooperò con la commissione parlamentare antimafia presentando rapporti e schede di mafiosi, denunciando anche alcuni boss del calibro di Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calderone e Stefano Bontade. Egli volle, inoltre, che questi venissero confinati a Lampedusa, Asinara e Linosa, non più nelle periferie del nord Italia. Quando divenne Comandante della prima Brigata Carabinieri con competenza sulle Legioni Carabinieri di Torino, Alessandria e Genova e venne poi promosso al grado di generale di Brigata, si trovò a contrastare direttamente la mafia e a fronteggiare tentativi di fuga dalle carceri, tanto che nel 1978 fu nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo, un commando speciale diretto dal Ministro dell’Interno Virgilio Rognoni, partecipando alla ricerca degli assassini di Aldo Moro.
Furono numerosi i successi ottenuti, anche contro le Brigate Rosse, con l’arresto di Rocco Micaletto e Patrizio Peci nel 1980, che crearono scompiglio all’interno delle colonne delle BR.
Nel 1981 venne nominato Vicecomandante generale dell’Arma. Il 6 aprile 1982, nominato prefetto di Palermo dal Consiglio dei ministri, nonostante la sua esitazione, otterrà poteri fuori dall’ordinario per contrastare la guerra tra le cosche. Questi però tardarono ad arrivare, tanto da spingerlo a dichiararlo in un’intervista al giornalista Giorgio Bocca, aggiungendo che intanto Cosa Nostra si stava estendendo da Catania a Palermo e che, dietro a tutto ciò, doveva esserci una nuova organizzazione.
Sarà proprio in tale anno, nell’agosto del 1982, a un mese dall’omicidio, che giungerà l’annuncio dell’attentato fatto a lui e all’agente di scorta Domenico Russo ai Carabinieri, con una telefonata anonima.
(Foto: web).
#Qdpnews.it