Al proprio posto

Spero mi sia perdonato in partenza l’esempio forse banale, tratto dall’esperienza pratica quotidiana in tema di mobilità. Negli ultimi tempi, si nota sempre più spesso una tendenza inquietante e  pericolosa in diversi automobilisti che impegnano ogni giorno le nostre strade: essi fanno fatica a stare correttamente entro la propria corsia di marcia, e in vari casi stanno a ridosso della mezzeria, sul punto quasi di invadere la sede stradale dove corrono i veicoli in senso contrario. In pratica, spesso solo per distrazione, non si curano di stare correttamente nella giusta posizione, quella propria che viene indicata dal codice stradale, ma rivelano un modo di circolare sulle quattro ruote che rischia di mettere seriamente a repentaglio la sicurezza degli altri automobilisti.

Ecco, in questi casi si tratta di un tipo di comportamento da sanzionare, perché potenzialmente gravido di seri rischi per gli altri. In generale, nella prassi di ogni giorno, paghiamo invece le conseguenze – sicuramente meno gravi, ma non per questo memo fastidiose – delle azioni poste in essere da coloro che, volenti o nolenti, non sanno che cosa significhi saper “stare al proprio posto”, evitando di creare situazioni negative, imbarazzanti o spiacevoli per quanti  si trovano a condividere con loro esperienze concrete di studio, lavoro e relazioni sociali.

Tutto questo avviene in presenza, in tempo reale, “vis-à-vis”, ma bisogna anche considerare la dimensione della comunicazione social che oggi va per la maggiore: critiche, giudizi, commenti, in tanti casi anche taglienti, velenosi e malevoli, su tutto e su tutti, basando i propri interventi sulle proprie esclusive cognizioni e sensazioni, senza alcuna capacità di riflessione e di doverosa presa di consapevolezza della realtà complessa delle altre persone.

Anche qui, insomma, frequenti e antipatiche invasioni di campo, e nessuna capacità di sospendere o limitare le proprie affermazioni rimanendo effettivamente “al proprio posto”, avendo rispetto e cura di quello che vivono veramente gli altri, magari alle prese con storie personali e scelte particolari, delicate e complesse. Onestamente, siamo un po’ stanchi di questi giudici impietosi e distruttivi, i famosi “leoni da tastiera” che riversano considerazioni spesso ostili, brutali e insindacabili su qualsiasi cosa che sia “altro da se stessi”.

Appunto: loro, a prescindere, sanno tutto degli altri, avrebbero fatto questo e quello, avrebbero detto questo e quello, sempre al loro posto, mettendosi impropriamente nei loro panni, e tirando facilmente conclusioni che invece si dimostrano poi, inevitabilmente, affrettate, azzardate e prive di fondamento.

Una riflessione si impone, dunque, per cercare di analizzare bene e di porre rimedio a situazioni poco edificanti nella vita corrente, che si declinano anche nel senso ulteriore di non rispettare il proprio ruolo e di attribuirsi compiti che non sarebbero compresi invece nel proprio status, nel proprio percorso lavorativo e relazionale, nelle proprie mansioni, nella propria agenda. E tutto questo si traduce nel “dettare” agli altri le cose che loro, e soltanto loro, sarebbero nella titolarità e possibilità di fare, insinuandosi scorrettamente nei loro pensieri e nelle loro vite.

Effetto negativo concreto: sovrapposizioni e confusione, criticità e contrapposizioni, difficoltà di gestione complessiva di situazioni che andrebbero doverosamente portate a soluzione, e non alimentate di inutili problemi e complicati ostacoli. Innanzitutto, si tratta di una questione di buona educazione: stare al proprio posto e rimanere fedeli al proprio ruolo, senza indebite ingerenze e invasioni in campi altrui,  implica assumere dei comportamenti coerenti che danno risalto alle parole e ai gesti corretti e rispettosi in ogni ambiente. Bisogna saper ridurre in maniera poderosa la tendenza presente in molti soggetti all’autoreferenzialità, a una buona dose di protagonismo, alla smania di inventarsi tuttologi ed esperti dei fatti altrui. In anni in cui si invoca tanto spesso, giustamente, il rispetto della privacy e della riservatezza, quali forme di tutela della legittima libertà privata di tutti e di ciascuno, occorre ristabilire criteri puntuali e corretti di osservanza del principio per cui non si possono invadere i campi di azione che appartengono agli altri.

Non lo consigliano la mente  e il cuore, perché potrebbero diventare  davvero importanti e perniciose le complicazioni derivanti  da questa mancanza di rispetto delle ragioni e delle pertinenze del prossimo. In generale, sicuramente, ma anche nello specifico, ad esempio, di lavori di squadra, nei quali diventa fondamentale il giusto spirito cooperativo, il senso di piena collaborazione, il cosiddetto “idem sentire”, l’assunzione convinta e leale da parte di tutti dei ruoli di ciascuno, nella loro originale e irripetibile individualità. Tutti al proprio posto, senza la pretesa di essere altri, di fare quello che altri dovrebbero fare, e mettendo in campo la distanza inevitabile e doverosa fra il proprio mondo e quello altrui. E tutto ciò, per ipotesi, vale nel rapporto fra le generazioni – dove i ruoli di figli, genitori, nonni e parenti non sono interscambiabili, ma distinti e fecondi nella loro unicità –  e negli ambiti dell’educazione e della scuola, dove gli insegnanti non possono svolgere i compiti dei genitori e questi, per parte loro, non possono sostituirsi a chi esercita il mestiere di docente in aula. Per esteso, vale ovunque, fino ai social, dove farebbe sicuramente bene una sorta di moratoria, di sospensiva, sui giudizi che si esprimono, comunque, sulle vite degli altri, facendo passi impropri rispetto ai luoghi e ai ruoli che la vita ci ha assegnato. 

Ecco, un nuovo umanesimo potrà sorgere anche da qui, da questa vita buona che non invade le esistenze di coloro che vivono al nostro fianco, sapendo invece esprimere parole e gesti concreti di vicinanza rispettosa e di solidarietà autentica.               

(Autore: Redazione Qdpnews.it)
(Foto: archivio Qdpnews.it)
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