La richiesta sale pressante da ogni dove, dai campi più svariati dell’impresa, dell’economia e della società, soprattutto quando sono in giochi i rapporti con i soci e con i clienti: servono chiarezza e trasparenza, occorre che i principi e le regole siano fissati con assoluta certezza, bisogna evitare il più possibile che esistano margini di dubbio o di irrisolutezza quando si lavora nel campo delle relazioni tra le persone, soprattutto se si tratta di rapporti contrattuali.
Chiarezza e trasparenza, dunque, vanno considerate importanti conquiste, caratteristiche fondamentali, attribuzioni essenziali per vivere nella modernità con approccio di verità e di rispetto delle vite di tutti e di ciascuno e dei patti stabiliti fra gli individui. E’ come dire: la indeterminatezza, la fumosità, la non corrispondenza al vero devono essere espunte dalla pratiche quotidiane, e tutto deve tendere invece a rendere manifesto e percepibile il contenuto della comunicazione, del patto siglato, dell’accordo firmato, della norma posta in vigore.
Sta di fatto che nell’esperienza quotidiana, invece, una volta reso omaggia a questi principi e a queste indicazioni generali, sembra che in tanti comportamenti di ogni giorno si faccia a gara per rendere tutto più difficile, complicato, incomprensibile, macchinoso e opaco. Qualcuno parla spesso di una sorta di vera e propria “Babele”, prendendo spunto dal famoso episodio narrato nel libro della Genesi: un grande disordine, una rilevante confusione sembrano regnare in tante nostre prassi, in molte azioni, in diversi atteggiamenti che sembrano dare forma e sostanza a quella “società del pressappoco“ alla quale il professor Vittorino Andreoli ha dedicato un suo recente saggio.
Si comincia dal modo di esprimersi, verbale e per iscritto: a fronte dei canoni riconosciuti, accettati e richiesti per una comunicazione sana, corretta e chiara, oggi si assiste con stupore e tristezza, in vari casi, all’uso di un linguaggio che sembra frutto di convenienze e mode, veramente poco incline alla necessaria chiarezza e all’auspicata trasparenza. Nascono pertanto incertezze, fraintendimenti ed errori di interpretazione, al ritmo e al suono dei vari “Mi sembrava di aver capito così”, “Ma io pensavo”, “Ma io avevo immaginato che tu intendessi questa cosa qui”, “Ma io ritenevo di aver interpretato al meglio la tua volontà”. Tradotto: il venir meno della chiarezza da parte del primo attore della comunicazione, complica la vita del secondo protagonista del colloquio e della consegna verbale, che così magari esegue compiti e direttive a lui mai affidati, e si trova poi costretto a cambiare rapidamente il corso della sua iniziativa.
L’esperienza concreta, poi, insegna che soprattutto nel campo del lavoro le direttive e i compiti devono essere affidati con il massimo dell’essenzialità, senza complicazioni e ampi margini di autonomia per la persona alla quale ci si rivolge, pena il rischio di traduzioni in termini “creativi” di quanto viene richiesto. Chiari e trasparenti, quindi, occorre essere sul serio, perché il rischio della “Babele” è sempre dietro l’angolo, e bisogna anche prevenirlo.
Ci sono alcuni, infatti, che non riescono neppure a eseguire correttamente la funzione del “copia e incolla” al computer, per una sorta di eccesso di zelo: essa viene giudicata troppo scontata, fredda, tecnica e senz’anima. Pertanto, intervengono loro, che ovviamente si discostano da quanto dovrebbero fare, in maniera precisa e puntuale, e inseriscono elementi in libertà che contribuiscono soltanto a variare sensibilmente il quadro delle informazioni e, in definitiva, a compromettere il risultato finale.
Da questi semplici esempi si comprende come nella società attuale sia sempre più rara e difficile la comunicazione diretta, chiara, trasparente, che non dà adito a incertezze e raggiunge rapidamente il suo scopo operativo, e questo anche a causa della mole enorme delle informazioni che viaggiano attraverso i social e complicano decisamente il quadro complessivo.
Ciò avviene perché si indulge spesso a far girare contenuti e testi frutto di incertezze lessicali e stilistiche, motivo primo per cui si originano spiacevoli incidenti di percorso, a partire proprio dalla comprensione esatta di quello che viene comunicato. Restano il “non detto”, l’incerto, spesso lo scritto e affermato verbalmente in maniera tortuosa e difficile, ridondante e ampollosa, tutte ragioni per cui non si applicano semplicità, linearità e trasparenza nel messaggio prodotto, fonte di equivoci, dubbi e contraddizioni che fanno perdere per strada tempo e denaro, fiducia e comprensione.
E non parliamo degli artifizi, raggiri, fumosità, astrusità e allusioni usati nel linguaggio, che servono soltanto a ingannare, a trarre in errore, a mettere in difficoltà, a raggiungere scopi ulteriori inespressi, a scapito proprio dell’interlocutore. E allora, più che mai, serve questa “operazione verità” nella nostra comunicazione di tutti i giorni: chiarezza, linearità, trasparenza, senza secondi fini, mirando soltanto alla bellezza e alla concretezza del dialogo fecondo e rispettoso, finalizzato a raggiungere traguardi di bene per le parti in causa, e più in generale per la comunità più larga delle persone in gioco.
Ha un valore inestimabile riuscire a comunicare con i propri simili nel segno della reciprocità e della fiducia: oggi è un compito arduo ma non impossibile, decisivo per caratterizzare una vita buona e pacifica, non alterata da conflitti aperti o mascherati, alimentata invece da comportamenti ispirati a valori forti e a riferimenti etici autentici e generosi.
(Autore: redazione di Qdpnews.it)
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