Ancora immersi nella luce delle festività pasquali, ci fermiamo a parlare della comunicazione del bene nella nostra società. Diranno alcuni: perché esiste ancora un bene da raccontare ai nostri giorni, una dedizione al prossimo da narrare, delle testimonianze di amore e di speranza da far veicolare attraverso le news quotidiane? Assolutamente sì, la nostra risposta.
Ma non ci sorprendiamo per il quesito sofferto, perché possiamo dire di essere letteralmente travolti, in larga parte delle nostre giornate, da una informazione cartacea, televisiva e digitale troppo spesso legata ai canoni della cronaca nera, delle negatività presenti, dei fatti che creano scalpore e sgomento nella loro drammaticità e tragicità. Di più: molte volte assistiamo a descrizioni impressionanti, a titoli sensazionali, a immagini spesso terribili e crude. A tutto ciò si aggiungono le malevolenze, le cattiverie e le ostilità che tanto spesso albergano e si diffondono a macchia d’olio e in tempi brevissimi attraverso i social.
Insomma, dal sistema generale dell’informazione del nostro tempo sembrerebbe proprio che le notizie felici, le verità della cronaca bianca, i fatti edificanti siano stati quasi espunti dall’immaginario collettivo, ridotti a fattore del tutto residuale, annoverati in una dimensione oramai lontana e passata, non più alla moda, pressoché inesistente. Eppure. Eppure il mondo prosegue la sua corsa perché – in mezzo a tante difficoltà, avversità, criticità e tristezze – c’è un bene quotidiano che continua ad affermarsi nella vita delle persone e delle comunità.
Perché ci sono uomini e donne che ogni giorno compiono con spirito di sacrificio e senso di altruismo il proprio dovere nell’ambito della famiglia, della scuola, del lavoro, del mondo del volontariato e della socialità. Perché esiste una straordinaria e diffusa attitudine da parte di quegli umili che stanno e operano al mondo e sembrerebbero non dover lasciare traccia del loro passaggio terreno, ma che invece – come sostiene Alessandro Manzoni – sono i grandi costruttori di un senso pieno e giusto di umanità, grazie al loro convinto impegno per i valori più alti della persona e della convivenza civile.
Proprio così: essi sono le grandi e piccole icone, insieme, del bene che non fa notizia, che vola basso e sicuro nelle menti e nei gesti della solidarietà quotidiana, che non è presuntuoso e non cerca la luce dei riflettori, ma diventa l’espressione costante, paziente e credibile di un “prendersi cura” efficace e cordiale delle vite degli altri. In particolare, in ogni luogo, in ogni campo, in ogni angolo in cui le esistenze sperimentano fatiche e sono in sofferenza, in cui sono messe a dura prova, dove esiste il pericolo concreto della sfiducia e della rinuncia alla speranza.
Ecco l’inestimabile importanza di questo bene, distribuito da tanti a piene mani, nell’ordinarietà del vissuto quotidiano, e spesso però acquisito come scontato, normale, abituale. “La banalità del bene”, si potrebbe quasi dire, parafrasando al contrario il famoso titolo di un saggio attribuito al suo contrario.
Oggi questo bene che si fa fatica a rintracciare nei comunicati stampa, nelle note di agenzia e negli articoli di giornali e social ha paradossalmente bisogno di una “storytelling”, di essere rappresentato al meglio nell’informazione odierna, di uscire dalla “riserva indiana” delle eccezioni casuali e diventare invece “protagonista”, a suo modo. Ha il compito non facile di entrare a pieno titolo nei contenuti e nei linguaggi di una comunicazione che metta in luce tutto ciò che funziona, i risultati di chi opera per tessere e unire, e non per distruggere, lo stile esemplare e i frutti fecondi di chi agisce per l’interesse generale, e non per se stesso, e guarda al presente e al futuro del mondo in cui vive con lo sguardo aperto e sereno di amore che con-vince, ossia vince insieme.
Dire il bene, insomma, anche se non è facile, per la ritrosia, il riserbo, la voglia di non apparire, il desiderio di tenere nascosti i meriti e di non assurgere a ruolo di alfieri da elogiare dinanzi alle folle che abitano la nuova agorà mediatica. Ancora prima, è forse il caso di ritrovare la benevolenza e la gioia di qualche complimento in più per le cose ben fatte, di qualche apprezzamento in più per chi opera al meglio con tanta competenza e generosità, di qualche segno di gratitudine in più per chi realizza ogni giorno la vita buona in pienezza. Come la famosa goccia d’acqua che cambia il mare, per sempre.
Ricordiamoci di farlo, così come oggi ricordiamo con stima e riconoscenza gli adulti che nella stagione della nostra giovinezza ci incoraggiavano e ci davano una pacca sulla spalla, dimostrando stima e fiducia a parole e con gesti concreti. Facevano il tifo per le nuove generazioni che cercavano con fatica di operare il bene, e ai loro occhi tutto ciò era meritevole e non passava inosservato.
Più che mai adesso è un tempo favorevole per dire il bene, che è ben presente e non è scomparso. Ha solo bisogno di una nuova narrazione, che ridoni fiducia vera nella bellezza della nostra umanità.
(Foto: Pixabay).
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