Si dice che la storia sia maestra di vita, ma abbia allievi distratti. E questa enunciazione ritorna in mente tutte le volte in cui dimostriamo di avere memoria corta, di non riuscire a ricordare adeguatamente le cose importanti che non andrebbero invece mai dimenticate, di non riuscire a fare tesoro delle vicende significative dell’umanità nel corso della storia, eventi in generale che potrebbero insegnarci davvero a essere migliori, come persone e come comunità.
Succede per esempio rispetto alla concezione del tempo a nostra disposizione, che in troppi casi consideriamo scontato, duraturo, perenne, e di conseguenza molte volte dissipiamo in percorsi differiti, poco produttivi, anche dannosi, perché tolgono i nostri pensieri dalla concretezza delle situazioni e dalle opportunità che non vengono sfruttate.
Non solo: possedere una cattiva concezione della dimensione temporale ci fa vivere in una sorta di eterno presente in cui tutto si svolge senza passato e futuro, distogliendo di fatto la nostra attenzione dal trascorrere reale dei giorni, dei mesi e degli anni, e dal senso della finitudine, della caducità, del limite finale che segna il destino dei comuni mortali. Ecco, la morte, proprio lei: l’abbiamo citata, l’innominabile, almeno per tanta parte di coloro che rimuovono a tutti i costi il pensiero del traguardo conclusivo, inevitabile, per tutti, e si comportano come se il sicuro e definitivo punto di arrivo del nostro cammino terreno dovesse riguardare sempre gli altri, mai se stessi.
Lo evidenziano pure alcuni testi della letteratura dei nostri giorni, che fanno sicuramente riflettere. “Pensano di dirgli: “Io penso ogni giorno alla morte, sa?”: nel capitolo “Sessantenni contro quarantenni”, a pagina 24 del romanzo di successo “I ragazzi di sessant’anni”, Einaudi editore, presentato di recente anche nel Quartier del Piave, l’autore Romolo Bugaro fa parlare così i suoi protagonisti, evocando il fatto che nell’età di mezzo sembra quasi naturale un pensiero rivolto di frequente alla fine della vita, quanto meno nell’ottica di dare senso più completo all’esistenza in corso, cercando di evitare affanni e fastidi inutili che servono solo a complicare e a rattristare le giornate di tutti e di ciascuno.
Ma sono soprattutto i fatti che accadono ogni giorno a far suonare il campanello d’allarme, a metterci nella condizione di dare maggiore risalto alle questioni essenziali che contano davvero, a chiederci di “vivere con attenzione” – come affermava la grande intellettuale francese Simone Weil – le dinamiche del tempo che ci accompagna, in maniera significativa e utile. Proprio nei giorni scorsi, infatti, hanno suscitato profonda commozione le parole di una nota imprenditrice trevigiana, scomparsa prematuramente in seguito a una malattia affrontata con grande coraggio e forza d’animo.
“Non pensate di avere tempo in eterno perché non è così. Vi sbagliate – ha lasciato scritto – Pensiamo che tutto torni. Che di tempo ce ne sia in abbondanza: non è così. Il tempo è un’incognita e noi dobbiamo approfittarne perché ogni cosa è regalata, è un dono. Un dono meraviglioso …”. Con grande verità e delicatezza, ella ha manifestato un sentimento interiore che esprime una visione della vita, un’attitudine di bene e gratitudine verso tutto quello che abbiamo a disposizione, quale opportunità favorevole che ci è stata consegnata e che noi dovremmo riconoscere, comprendere e sfruttare al meglio.
Come il tempo, che passa, come tutte le cose transeunti sulla scena del mondo, non è replicabile, non dura all’infinito, non è una costante permanente e sempre presente. Soprattutto, non è una variabile che possiamo gestire a nostro piacimento, comunque. E’ un fattore fondamentale e decisivo per le nostre vite, e che possiamo utilizzare per l’edificazione delle nostre persone, delle nostre famiglie, dei nostri ambienti di studio e di lavoro, della nostra società.
Con impegno, dedizione, gioia e riconoscenza, sapendo giustamente “riconoscere” e chiamare per nome i doni che abbiamo ricevuto, le possibilità di bene, le domande di ascolto e di condivisione che arrivano dagli uomini e dalle donne della nostra epoca. Oppure, al contrario, un elemento essenziale che non teniamo nella giusta considerazione, al quale non diamo l’esatto valore, e che pensiamo di poter gestire come una risorsa inesauribile, assolutamente e unicamente nelle nostre mani, e della quale possiamo disporre in qualunque modo. Ed è in questo contesto che risuonano le parole del famoso detto “Chi ha tempo non aspetti tempo”: in modo sapienziale, si avverte sui rischi del differire, rimandare, procrastinare, prorogare a domani quello che si potrebbe compiutamente, liberamente ed efficacemente svolgere oggi.
Perché fa parte della condizione umana realizzare progetti che magari proprio il tempo si incarica poi di smentire, vista la sua varietà, la sua mutabilità e, alla fine, la sua naturale conclusione entro il confine della vicenda terrena. Serve agire bene finché siamo in tempo, adesso, proprio ora, perche “del doman non c’è certezza” – come affermava Lorenzo De’ Medici nel suo famoso “Trionfo di Bacco e Arianna”. Non possiamo sprecare una risorsa indispensabile e preziosa come il tempo, talmente ricercata e richiesta nell’emergenza delle relazioni umane odierne da aver generato la nascita della “banca del tempo”, proprio nel senso della dedizione gratuita e solidale alle vite degli altri.
E’ anche un invito a gustare la bellezza, la salute, gli affetti, le soddisfazioni, le opere di pace e l’armonia fra le persone, prima che sopraggiungano scrupoli e rimpianti per le stagioni passate, ormai perdute, nelle quali non abbiamo saputo apprezzare al meglio la felicità che era in nostro possesso. Pensiamoci, cambiamo pensieri e attitudini, stile e approccio alla vita: siamo ancora in tempo.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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