Oggi domenica 12 giugno è la Giornata Mondiale Contro lo sfruttamento del lavoro minorile, indetta nel 2002 per incentrare l’attenzione del pianeta su una piaga sociale ancora troppo grande.
Secondo le stime dell’OIL, l’Organizzazione internazionale del lavoro, un bambino su 10 in tutto il mondo, tra i 5 e i 17 anni, è costretto a lavorare, per un totale di 160 milioni di minori.
La maggior parte vivono nelle aree più povere del pianeta, come l’Africa, dove vengono sfruttati in prevalenza per l’agricoltura (il 70%), in piccola parte nel settore industriale e in quello minerario, ma anche nei paesi del Nord del mondo in Asia, America, Europa e negli Stati Arabi.
Non si sa come sia nato lo sfruttamento minorile, ma ci sono molti riferimenti nell’età preindustriale alla schiavitù nel settore agricolo, dell’allevamento e nella caccia. Il lavoro dei più piccoli era necessario per la sopravvivenza delle comunità e per il loro benessere poiché c’era una bassa produttività e una breve aspettativa di vita. Inoltre, non esisteva l’istruzione e tutte le conoscenze derivavano dalla pratica o dall’apprendistato degli adulti che avveniva all’interno del nucleo familiare.
Il vero cambiamento arrivò con la rivoluzione industriale, in primo luogo nel Regno Unito e in Francia tra il XVIII e il XIX secolo, che introdusse tempi e metodi più intensi e penalizzanti per il lavoratore. Sarà in quegli anni che inizierà il vero sfruttamento sistematico infantile, quando i genitori iniziarono a introdurre i figli con loro in fabbrica e li fecero lavorale nelle medesime terribili condizioni, con stipendi però più bassi. Si trattò di un grande vantaggio per i proprietari industriali, più manodopera, uso continuo delle macchine e una maggiore agilità di movimento data dai loro piccoli corpi.
Con l’aumento del fenomeno, però, quando iniziarono ad essere redatti rapporti sulle condizioni di vita dei bambini lavoratori da medici, ispettori e funzionari, il mondo venne a conoscenza di quanto stava avvenendo e lo considerò un problema sociale.
Negli anni Ottanta le nuove forme di schiavitù diventarono le officine tessili asiatiche, fino ad arrivare al 1992 quando l’OIL creò l’IPEC, il Programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile e fece diverse campagne per sensibilizzare le industrie di tutto il mondo sul problema.
Il 12 giugno 2002 è stata dichiarata la Giornata mondiale contro il lavoro minorile.
Negli ultimi anni la pandemia ha incrementato il problema nei paesi più poveri a causa dell’impoverimento delle famiglie e la chiusura delle scuole che rappresentano l’unica alternativa al lavoro.
Una delle gravi conseguenze di tale situazione è infatti la mancanza di istruzione, circa un terzo dei bambini nel mondo non frequenta la scuola o deve lavorare al di fuori degli orari di lezione, con la conseguenza inevitabile di non riuscire a stare al passo con i compagni.
La soluzione a questa tragedia sarebbe la lotta alla povertà che ne è la principale causa, ma anche la registrazione sistematica delle nascite, lo stanziamento di fondi per l’istruzione e condizioni di lavoro più dignitose con salari più alti per i genitori.
L’ UNICEF con Save the Children e Global Compact si occupano di aiutare questa fascia della popolazione, incentivando, tra le tante cose, le aziende ad avere rispetto per i diritti dell’infanzia.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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