La presenza che serve

Non sentirsi soli, e percepire che qualcuno ci sta accanto, è il più grande dono che possiamo ricevere

A più riprese, nei giorni scorsi, abbiamo ricordato la drammatica stagione dell’emergenza Covid, sorta a febbraio 2020, e onorato le vittime della pandemia in Italia.

Nella grande sofferenza collettiva di quel periodo abbiamo compreso tutti quanto siano importanti ed essenziali alcune presenze effettive e insostituibili, e come la nostra natura umana, interiore e spirituale, fisica e concreta, non possa rinunciare in alcun modo all’incontro e alla relazione con il prossimo.

Infatti, di che cosa avevano bisogno allora le famiglie con gli ammalati nelle proprie case, i malati negli ospedali, gli anziani ospiti nelle case di riposo? Di una presenza, innanzitutto; di qualcuno che riuscisse a ritessere e a dare nuovo vigore alla trama delle relazioni positive; di persone volenterose e generose che potessero offrire gesti di aiuto, vicinanza, solidarietà; di esseri umani disponibili e capaci di prendersi cura di loro.

Comunque, tutti abbiamo sperimentato che cosa possa voler dire la presenza nei momenti difficili della nostra vita: non sentirsi soli, e percepire che qualcuno ci sta accanto, è il più grande dono che possiamo ricevere.

Nei momenti più duri tutto sembra perdere il suo significato: per questo si cerca un volto, una persona, un supporto, un sostegno. La stessa cosa vale per le occasioni più belle e importanti dell’esistenza: la felicità, i successi, le soddisfazioni hanno bisogno di presenze per essere condivise, per fare bene davvero.

Non si può gioire da soli e non si può soffrire da soli: inesorabilmente occorre qualcuno che ci tolga dalla solitudine. E’ la presenza che non può essere sostituita in alcun modo dalle attestazioni generiche, dai discorsi di circostanza, dalle espressioni “lontane” di vicinanza: è umanamente sensibile, consistente e non aleatoria, impegnata a rendere testimonianza della prossimità e dell’altruismo.

E come non annoverare proprio questa rinnovata presenza, che si fa carico delle vite degli altri, tra i fattori decisivi del cambiamento che serve per un nuovo modello di umanità e di società? Tutto dipende dalla qualità di questo essere dentro la storia, dalla chiarezza e dalla coerenza delle motivazioni interiori.

Lo ricordava spesso con forza il compianto monsignor Adriano Vincenzi, ideatore e coordinatore del Festival DSC di Verona, promotore e responsabile della Fondazione Segni Nuovi e assistente nazionale Ucid. “Quando uno c’è si vede – affermava – e la sua presenza porta sempre ricchezza di significati. Solo una persona che sa essere vera, ancorata ai valori, può entrare in una relazione autentica e feconda con gli altri e non limitarsi a vuote pretese, a inutili egoismi. Chi è presente invece di creare problemi li risolve, lascia cadere le chiacchiere e crea relazioni vere, ha sempre il senso della misura, trova lo spazio per il ragionamento e il confronto, rifiuta gli slogan e i proclami altisonanti, si impegna per il bene comune”.

La presenza infatti è aperta sul mondo, non mantiene pregiudizi e chiusure, si arricchisce di dedizione al prossimo, non ostenta e non ricerca la facile pubblicità. La presenza esprime sempre intensità, ha una forza propria, viene prima delle azioni anche se non le esclude mai, ed è significativa per se stessa. Vive non perché domina, ma perché è radicata in una comunità. Così diventa profetica e alternativa: non si identifica con una persona, con un leader solitario, ma genera una comunità dove la fraternità armonizza differenze e talenti.

La presenza è vita. In definitiva, si alimenta di relazioni: la presenza è l’espressione più diretta e più vera per esprimere voglia di esserci, partecipazione e condivisione. E’ di fatto la presenza di chi non è assente, atteggiamento invece proprio di quella persona che di solito critica la disponibilità e il lavoro di chi c’è, partecipa, costruisce, magari sbaglia perché l’errore fa parte di ogni umana vicenda ma di sicuro porta un contributo utile.

E’ la presenza di chi non è  sempre “altrove”, non ha perennemente l’alibi – che è esattamente la stessa cosa dal punto di vista etimologico latino – di avere altro da fare, di essere già impegnato, di essere occupato proprio nel momento in cui si richiederebbe un aiuto, un sostegno, un apporto effettivo e concreto. E’ la presenza di chi garantisce e costruisce ogni giorno vita buona con costanza e pazienza, fedeltà e continuità, sapienza e umanità.       

(Foto: Pixabay).
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