Sembrerebbe una questione di buona educazione, la prima accezione del nostro tema odierno. In qualche modo, il lasciar andare, il perdere se stessi, il mettere gli altri in una condizione più favorevole, comoda, valida, potrebbe coincidere con il “cedere il posto”, come insegnavano tanti anni orsono i manuali del rispetto delle regole necessarie per stare al meglio nella società, per comportarsi bene, per dare il giusto risalto a un’etica condivisa.
Ad esempio, un classico esempio di questi atteggiamenti positivi, approvati allora nell’immaginario collettivo, era la disponibilità del giovane e dell’adulto a cedere materialmente il proprio posto a sedere in un mezzo pubblico, generalmente a vantaggio di una persona anziana, e comunque di una donna, specialmente se in gravidanza. Si trattava di un gesto di rispetto e di cortesia, una dimostrazione pratica, nei fatti concreti, dell’attenzione gentile verso categorie di persone che vanno riconosciute e aiutate perché giustamente degne di maggiore considerazione, conforto e protezione in virtù della loro età e del loro particolare “status”.
In generale, risaltava comunque in queste norme lo sguardo di benevolenza verso gli altri da se stessi, e la capacità di fare un passo indietro rispetto alle posizioni acquisite per dare valore aggiunto, con libertà e gratuità, alla situazione del prossimo, davvero vicino in questi casi. Una sorta di norma non scritta: in certi casi bisogna andare oltre le posizioni legittimamente acquisite, e contribuire al bene comune mettendo in pratica dei gesti eloquenti e significativi di generosità e di altruismo, immediati e semplici, ma frutto di profondo convincimenti interiori, di formazione autentica, di attitudine a uno sguardo non egoista, non autoreferenziale, non concentrato sulla propria esclusiva individualità.
Ebbene, tutto questo potrebbe essere una buona premessa per giungere alla seconda parte della nostra riflessione odierna, che si concentra proprio sul senso del “lasciar andare” come espressione intelligente e lungimirante di partecipazione conclusiva alla nascita, alla realizzazione e all’affermazione di un progetto, oppure al volontario passaggio di testimone dopo aver guidato a lungo una realtà associativa o istituzionale. Lo hanno evidenziato nel loro recente libro “E vedremo cose meravigliose” gli autori Johnny Dotti e Mario Aldegani, affrontando il tema dell’educazione e cercando di riportarla alla sua funzione principale: far crescere nella libertà.
Gli autori, un pedagogista e un sacerdote, offrono idee ed esperienze per ispirare genitori e insegnanti a fidarsi dei giovani e a sperare nel loro futuro. Dotti, in particolare, sottolineava in un’intervista che l’educazione è accompagnare i giovani nella crescita verso la libertà e la responsabilità, diventando autori della propria vita.
Gli autori sperano che il libro possa riaccendere la passione per l’educazione, che considerano una pedagogia della speranza;: per loro, educare è immaginare che, attraverso l’educatore, qualcun altro possa essere accompagnato a venire al mondo. Il libro propone dieci azioni chiave per l’educazione: ascoltare, benedire, custodire, condividere, generare, lasciar andare, pensare, raccontare, emancipare e imparare.
Tra queste, “lasciar andare” è vista come la più carente oggi, simboleggiando la fiducia nei giovani che spesso manca, per cui si preferisce continuare a proteggere, a tenere strette e controllate, a chiudere entro recinti di scontate certezze le nuove generazioni, impedendo invece che le stesse abbiano da sperimentare la libertà e la novità di una loro intraprendenza nel campo professionale, lavorativo, dell’impegno sociale. Varie volte, spinti magari dalle preoccupazione di evitare ai giovani le fatiche e i sacrifici compiuti in passato dai predecessori, e di allontanare i pericoli, reali o presunti, che derivano dall’affrontare il mondo odierno a viso aperto, ci si attarda, si procrastina, non si fa decollare, si tarpano le ali, si cercano scuse perché si temono gli effetti negativi di una fiducia mal riposta, di un affidamento non sufficientemente convinto sulle qualità dei giovani d’oggi, considerati non sufficientemente maturi, adeguati, adatti e impegnati per assumere in prima persona i ruoli e le responsabilità di animazione e di guida di progetti e percorsi.
E invece servirebbe un passo indietro da parte dei detentori delle leve del potere, ovviamente misurato, con raziocinio, non immotivato o improvvisato, proprio in favore delle nuove generazioni, che abitano il proprio tempo e hanno tutto il diritto di diventare protagonisti della cultura, dell’economia e della società nelle quali vivono e operano. Certo, occorre insegnare e accompagnare con sapienza e concretezza, ma da un certo punto in poi è auspicabile “lasciar andare”, per favorire quell’immissione di innovazione, quella conoscenza in linea con la modernità, quella voglia di sano protagonismo che sono nella natura ordinaria delle cose terrene.
Anche perché, così, si darebbe corso utile e convincente a quel “passaggio generazionale” invocato, spesso temuto, in realtà poco praticato e diffuso anche in campo aziendale, che darebbe nuovo vigore e nuovo lancio proprio a tutto il settore industriale, e non solo, dei nostri territori. E non è tutto: il “lasciar andare” diventa formula di successo anche per la guida di varie realtà associative: esse, non raramente, patiscono le conseguenze di leadership affermate e consolidate che aspirano a perpetuarsi e a rimanere immutabili, anziché a cedere il passo a nuove persone, nuove energie, nuovi apporti e nuovi assetti e stili di squadra. Si accampano scuse sulla difficoltà di trovare persone disponibili per rivestire compiti di responsabilità nei sodalizi, rimanendo intanto saldamente incollati a sedie e a ruoli con perenne “spirito di servizio”.
Ecco, molto meglio “lasciar andare”, per tempo, in anticipo, con sano distacco e stimata saggezza, anche le proprie creature sociali, dopo averle fatte nascere, costruite, alimentate, rafforzate e a lungo guidate: ne guadagneranno tutti, aprendo tempi e spazi favorevoli di novità per i singoli e per l’intera comunità, e cedendo ad altri l’onore e l’onere di portare a compimento le nostre idee e i nostri progetti, nel segno della dedizione generosa e della vita buona.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
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