Il tempo incerto di questa primavera, con la pioggia tanto attesa e benefica per la vita del creato e della nostra umanità, è attraversato da tante notizie luttuose, generate da episodi di violenza, aggressione, ostilità, attentati alla libertà e alla sicurezza altrui. Troppi episodi, insopportabili nella loro dinamica cruda e feroce, spesso purtroppo con effetti tragici, che arrivano sino alla morte di familiari, amici, conoscenti.
E’ come un crescendo di fatti che ci stordiscono, ci lasciano senza parole, alimentano pensieri e preoccupazioni, generano una forte inquietudine personale e di comunità sull’escalation di queste azioni prodotte da chi vuole farsi giustizia da sé, non conosce ragioni, non rispetta i principi e i valori fondamentali di un consesso civile, dà vita a una spirale terribile di odio e di offese alle vite degli altri.
E i commenti sbigottito e increduli di chi conosce vittime e carnefici danno molte volte la misura di un male sconosciuto, inatteso, sorprendente nella sua drammatica esecuzione e concretezza, nella sua immediata realtà e visibilità.
Ecco, appunto, il mistero del male, dentro il mistero dell’uomo. Futili motivi, piccole discordie fra le mura domestiche cresciute man mano di intensità e gravità, invidie e gelosie, rancori nascosti che esplodono in un attimo, rese di conti in vari ambiti di illegalità: questi fatti di cronaca nera, anche se diversi nella loro genesi, allo stesso modo creano catene infinite di lacrime, dolori e lutti. Sembra quasi che la violenza stia diventando una cifra, una sorta di nuovo alfabeto malsano delle relazioni odierne, un’espressione inaccettabile di un ritorno all’età della pietra di un’umanità che si ritrova senza patria, diritto e pace.
Sono resoconti e immagini di sangue e di morte che l’informazione dei mass media e dei social del nostro tempo approfondisce nei dettagli e rilancia a volte con troppo superficialità, rafforzando i titoli a effetto, con retroscena e ambienti del delitto, e creando una cupa e ossessiva cappa di efferatezza e disperazione attorno a vicende già di per se stesse negative al massimo.
E’ come dire: una sorta di banalità del male ad ogni ora del giorno e della notte, anche perché a livello televisivo imperversano ormai da anni rassegne e rubriche su delitti, gialli, omicidi e misteri insoluti, casi sanguinosi di cronaca nera. Inoltre, non possiamo dimenticare tutto quello che gli “haters” muovono nel mondo della comunicazione digitale, i cosiddetti “leoni da tastiera” che danno libero sfogo a una violenza verbale, offensiva e oltraggiosa scegliendo con cura le vittime e mettendo in atto delle vere e proprie campagne di discreto via web di obbiettivi sempre diversi.
In questo periodo, poi, tutto questo si inserisce in un quadro già drammatico e lacerante, perché la cronaca in tempo reale della devastante guerra in Ucraina ci mette nella condizione di assistere impotenti, pietrificati, ancora increduli, al racconto continuo della barbarie e dell’orrore di un conflitto che miete una catena lunghissima di vittime e distruzioni sul fronte militare e civile.
“Homo homini lupus”: in linea con la visione filosofica pessimistica di Hobbes, si potrebbe riprendere e riattualizzare questa definizione per la stagione dell’umanità che stiamo vivendo, afflitta appunto dal riapparire della violenza in tanti scenari della vita quotidiana, dal riaffiorare di una sorta di inimicizia continua tra le persone, per le più varie ragioni. Sembra incredibile. Dopo tutti i patimenti, le tragedie sperimentate, il carico pesantissimo di una storia lontana e recente che ci consegnano le conseguenze nefande e rovinose di chi si affida alla logica delle armi e della violenza, e dopo tutte le conquiste raggiunte nel campo dei diritti per il rispetto della vita umana e dell’ordino pacifico delle istituzioni, ci vediamo ancora dentro un panorama di violenza che si insinua e penetra nelle maglie più diffuse della società. Fiaccando gli animi, impaurendo tutti gli strati della società, generando un clima di paura e di sfiducia.
A proposito di storia degli scorsi decenni: ne ha parlato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 9 maggio scorso, nel giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo. “Lo Stato, le forze politiche e sociali, hanno saputo reagire, nonostante lo smarrimento iniziale, con coraggio e decisione alla sfida dei terrorismi – ha affermato il Capo dello Stato nel suo discorso ufficiale al Quirinale – Una guerra che è stata vinta – è bene sottolinearlo, qui e ovunque – combattendo sempre sul terreno della legalità costituzionale, senza mai cedere alle sirene di chi proponeva soluzioni drastiche, da regime autoritario. Affidandosi al diritto e all’amministrazione della giustizia per proteggere la nostra comunità. Rifiutando di porsi al di fuori della natura democratica della nostra Repubblica”.
E poi Mattarella ha fatto un passaggio importante rendendo onore alle vittime, che paradossalmente rischiano di essere dimenticate a scapito degli autori dei gesti criminosi. “Si è molto parlato negli ultimi decenni dei terrorismi e dei terroristi – ha osservato ancora – Della loro vita, dei loro complici, delle loro presunte ideologie, delle cause che han fatto da base alla loro scelta di lotta armata. Delle gravi deviazioni compiute da elementi dello Stato, e per le quali avvertiamo ancora l’esigenza, pressante, di conoscere la piena verità. Su questi argomenti esistono molti studi, numerose pubblicazioni, tante trasmissioni televisive, anche di interesse e pregio. Meno si è, invece, scritto e parlato della reazione unanime del popolo italiano. Meno dei servitori dello Stato, che hanno posto a rischio la propria vita per combattere violenza ed eversione. Meno di chi, nelle fabbriche, nelle università, nei vari luoghi di lavoro, ha opposto un no, fermo e deciso, a chi voleva ribaltare le regole democratiche.
Ancor meno si è parlato del dolore, indicibile e irrecuperabile, delle famiglie a cui la lotta armata o i vili attentati hanno strappato un coniuge, un figlio, un genitore, un fratello o una sorella. Eppure sono state queste persone, non i terroristi, a fare la storia italiana.
A scriverne la parte decisiva e più salda. A esprimere l’autentico animo della nostra società e non la sua patologia. A costituire un patrimonio collettivo di memoria e di esempio per tutte le generazioni”.
Ecco dunque la lezione per tutti: la tentazione della violenza si vince ogni giorno, ogni istante, con il dovere della memoria, l’onore per i caduti e il sangue innocente, la difesa dei più deboli, l’educazione alla mitezza, alla tolleranza, alla pazienza, al confronto, al rispetto. E’ una strada che può apparire lunga e faticosa, ma è l’unica di progresso della convivenza. L’unica capace di ottenere e mantenere nel tempo pace, serenità, benessere, diritti in capo a tutti i cittadini. Dobbiamo solo esserne consapevoli. Potremo diventare ciascuno amico, e non lupo, all’altro uomo, se avremo questa determinazione a cercare sempre le ragioni che uniscono, a evitare contrasti inutili, a concorrere alla creazione di una vera cultura di concordia e armonia, contro ogni violenza verbale e fisica. A liberarci dal male, offrendo l’esempio della bellezza e dell’utilità del bene.
(Foto: web).
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