Sono stati protagonisti in tutte le Prefetture d’Italia, proprio nella giornata del 2 giugno dedicata alla Festa della Repubblica: gli insigniti dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (OMRI) sono stati ospiti in forma ufficiale nelle sedi di residenza dei Prefetti, omaggiati anche dai rappresentanti delle istituzioni locali, ricevendo personalmente le onorificenze che sono proprie di questo speciale elenco: cavaliere di gran croce, grande ufficiale, commendatore, ufficiale, cavaliere.
Istituito con la legge 3 marzo 1951, n. 178, l’OMRI – presieduto dal Capo dello Stato e con sede in via del Quirinale a Roma – è il primo fra gli Ordini nazionali: destinato a persone di età superiore a 35 anni, è volto a “ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, della economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici ed umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari”. Tradotto: la comunità repubblicana conferisce pubblico merito, attraverso l’onorificenza a partire dal cavalierato, a quanti si siano particolarmente distinti per meriti acquisiti in campo delle istituzioni, della cultura e della società. Non si tratta di attitudini occasionali o temporanee, ma di situazioni e comportamenti personali qualificati, durevoli e significativi, valutati e verificati attraverso un complesso iter procedurale di profilo nazionale: i titoli concessi sono finalizzati a dare il giusto valore e riconoscimento a coloro che hanno manifestato concretamente un “sentiment” di attenzione e dedizione concreta e costante alla vita della comunità, perché possano essere di esempio per la crescita morale e civile della “res publica”. Non è un caso, infatti, che nell’occasione solenne e festosa delle attribuzioni di queste onorificenze siano invitate e partecipi tutti i vertici delle istituzioni provinciali, e che al momento della consegna degli attestati di merito siano i sindaci dei comuni di appartenenza ad accompagnare gli insigniti.
Ciò sta a testimoniare che sono tutti i livelli della Repubblica, nell’ottica dell’autentica unità, sussidiarietà e coesione nazionale, a rendere visibile il plauso e la gratitudine dei rappresentanti della comunità civile, a iniziare proprio dai primi cittadini dei municipi di residenza dove si svolge primariamente l’azione delle persone premiate. Ma una domanda sorge comunque: con l’OMRI, facciamo ancora riferimento a sigle cavalleresche riferibili al passato, a vicende e titoli rispettabili, gloriosi e prestigiosi che oggi però possono sembrare quanto meno superati, fuori moda, quasi nostalgici di un tempo ormai tutto definitivamente trascorso? Questione legittimamente posta, ma per la quale non abbiamo dubbi di risposta: oggi, più che mai, abbiamo bisogno di trovare modi concreti per dare il giusto valore all’opera meritoria di quanti sono costantemente impegnati al servizio del Paese e che offrono una testimonianza seria, credibile e feconda di che cosa voglia dire contribuire da cittadini al bene comune, ognuno per la propria parte, ognuno secondo la propria responsabilità, ognuno secondo la libertà delle proprie scelte utili all’edificazione della comunità civile. E qui non si tratta di premi, pur assolutamente importanti ed encomiabili, da parte di sodalizi, enti, gruppi e associazioni, ciascuno per finalità e caratteristiche specifiche.
Qui si tratta della Repubblica Italiana che – attraverso una legge dello Stato risalente ad oltre settant’anni fa – ha deciso e messo formalmente nero su bianco su un dato normativo la validità, l’attualità e la pregnanza a fini sociali di queste speciali onorificenze, manifestate e tutelate mediante motivazioni e procedure apposite verso tutti. Sono insegne cavalleresche di antica tradizione ma di ritrovata e sicura attualità: esse spiegano di fatto che il merito va riconosciuto e rispettato, va chiamato per nome, va reso pubblico e comunicato, va posto a disposizione della comunità affinché la società locale possa trarre linfa vitale e benefici effetti dalle storie esemplari di uomini e donne “meritevoli di onore”. Soprattutto, la tradizione va interpretata in riferimento principale al suo significato etimologico latino, ossia di “consegna”, affidando soprattutto alle giovani generazioni una gamma di valori fondanti, un modo di essere e un stile di vita che si “lascia disturbare dal prossimo”, si prende a cura le esistenze degli altri, lavora instancabilmente perché il vivere insieme trovi ogni giorno motivi nuovi e favorevoli di altruismo, solidarietà, fiducia e speranza. Come emerso ad esempio nel corso della cerimonia ufficiale svoltasi per il 2 giugno alla Prefettura di Belluno, aperta dal saluto del prefetto Mariano Savastano, sono proprio le storie personali di questi insigniti a raccontarlo con la verità e l’eloquenza dei traguardi raggiunti, dei sacrifici patiti e dell’impegno profuso a livello professionale e di volontariato. E’ risaltata in particolare, nella varietà dei profili e nella pluralità delle biografie, la tenace resistenza dei neo cavalieri a ogni forma di pessimismo e di resa di fronte ai “mala tempora”, alle fatiche, alle inquietudini, alle dissipazioni di valori e di esempi.
Ecco, rendere “onore al merito” a questi cittadini illustri significa fermarsi a dire il bene che esista ancora (e tanto) nella nostra società, riflettere sulle cose che contano davvero per migliorare il mondo, esprimere gratitudine a chi lavora sempre con gratuità e generosità, decidere di dare “buone notizie” in un’epoca che sembrerebbe segnata da tanta negatività e che ancora, più che mai, avverte il bisogno dell’aiuto dei cavalieri gentili amici dell’umanità.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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