Sono state giornate di ricordo collettivo e di celebrazione dei defunti quelle che ci siamo lasciate da poco alle spalle, e che anche oggi 4 novembre, Festa dell’Unità nazionale e Giornata delle Forze Armate, trovano ragione ed espressione nel segno della memoria condivisa, di un tempo trascorso ma oggi più che mai ricco di significati per la vita dell’intera comunità.
Come detto, la recente Festa di Ognissanti, anche con effetti civili, ci ha messo nella condizione di vivere non distratti una due giorni – che si è completata il 2 novembre – dedicata al ricordo dei defunti. Avviene ogni anno, nelle stesse date, all’inizio di novembre, e segna in maniera indelebile questo tratto di stagione autunnale. E’ un richiamo solenne alla nostra vita, che nel suo mistero comprende per tutti il grande tema irrisolto della morte, e del destino di tutte le persone care che ci hanno precedute nel distacco dal mondo terreno. Sono persone care che ritroviamo nei cimiteri della loro sepoltura, con il senso del dolore per il loro congedo, della malinconia per la loro assenza, del vuoto per la loro mancanza. Umanamente, sono giorni di sofferenza rinnovata, in modo particolare per tutti coloro – e sono tanti – che non sono riusciti a elaborare pienamente il lutto, avvertono ancora acuto e presente il senso di questi affetti spezzati, sono provati da morti premature e improvvise che hanno sconvolto e cambiato per sempre abbracci familiari, amori in corso, progetti di vita e proiezioni di futuro. Nei giorni in cui dialoghiamo con la morte, riprendiamo paradossalmente in mano la nostra vita.
E mentre misuriamo a “a passi tardi e lenti” i percorsi interni di questi cimiteri, ritroviamo le tombe dei nostri congiunti, accarezziamo i loro volti nei ritratti, ripercorriamo i momenti più belli delle nostre esistenze insieme a loro, ci accorgiamo che non siano soli in questi itinerari. Siamo parte di un rito collettivo che unisce l’intera comunità locale: con le visite in queste due giornate ai sepolcri antichi e moderni, essa vuole esprimere speciale attenzione, memoria, rispetto, onore e gratitudine alle vite dei defunti, a quanti oggi non sono più in questo mondo ma restano presenti nel ricordo del loro contributo alla vita di tutti. Con il loro esempio, con la loro laboriosità, con l’amore dedicato alla famiglia, con il loro impegno per la costruzione del bene comune. Negli sguardi riposti su queste tombe si attraversa il tempo, si avvicinano vicende di tanti anni orsono, si portano alla memoria del cuore le intelligenze e i sentimenti di persone che abbiamo conosciuto e stimato, si va oltre la dimensione dei “nostri” defunti e si abbraccia quella più generale di tutti coloro che sono morti e qui sepolti, cittadini silenziosi che si sono adoperati per edificare la vita propria e le vite degli altri. E tutto questo avviene all’interno dei perimetri funerari nelle stesse ore, nelle stesse giornate, come in una sorta di pubblico convenire che sottolinea l’importanza dell’omaggio compiuto insieme a quanti sono stati partecipi delle sorti della comunità, e che hanno lasciato tracce indelebili non solo nella cerchia di familiari, parenti e amici, ma anche più in generale nel tessuto vitale della realtà sociale. E si può dire che ancora una volta, grazie a questo stare nei cimiteri, ci si esercita in maniera efficace e concreta intorno alle cose che contano veramente per i nostri orientamenti e per le nostre scelte quotidiane.
Questo contatto diretto e tangibile con gli effetti della morte, ineluttabile destino di ciascuno, ci mette nella condizione di ritrovare l’essenziale, volenti o nolenti, qualunque siano le nostre convinzioni religiose o filosofiche sull’aldilà. Tornare ai volti e alle storie delle persone care, in particolare, ci ricorda innanzitutto il nostro traguardo finale e ci impone di non dimenticare, non trascurare, non sminuire, non dissipare in alcun modo gli insegnamenti e gli esempi eloquenti di bene che abbiamo ricevuto: una riflessione motivata e sincera, infatti, ci fa capire come questi riferimenti siano stati fondamentali per la realizzazione in pienezza del nostro stesso percorso esistenziale. E’ un viaggio che può simboleggiare qualcosa di più. Proprio come ci raccontano gli epitaffi de “L’antologia di Spoon River” dello scrittore statunitense Edgar Lee Masters, “sostando di fronte alle tombe dei nostri conoscenti, guardando le foto e leggendo le date di nascita e di morte, ci dovremmo chiedere cosa dicono a noi oggi e quanto l’esempio delle loro esistenze ci possa aiutare ad essere migliori, meno incattiviti e distratti verso lo cose che veramente contano. Può rappresentare un buon esame di coscienza per la vita di ogni giorno. E così, come direbbero gli antichi, possiamo imparare a “morire a noi stessi”, al nostro amor proprio, e sostare in silenzio pensando solo all’essenziale».
Si tratta di principi e valori così profondi e importanti che vanno assunti e declinati anche alle generazioni che vengono dopo di noi, nel segno di una “tradizione”, di una letterale ”consegna” plasmata di solidi fondamenti e di ricca umanità. Ecco dunque il “dialogo ininterrotto” con quanti non sono più tra noi, e la necessità di educare i più giovani a mantenere giusta conoscenza e solidi legami con quanti ci hanno preceduto nel cammino terreno, assumendo la verità dei loro insegnamenti e delle loro esperienze di vita. Certo, si dirà: non bastano le due giornate di Ognissanti e della Commemorazione dei defunti, ai primi di novembre, per testimoniare il “sentiment” comunitario di dedizione al ricordo di coloro che non sono più tra noi. Infatti, come si dice giustamente, le persone defunte vivono ancora nell’affetto riconoscente soltanto se non le dimentichiamo, e se esprimiamo un’attitudine convinta e costante a mantenere presenti e attuali le loro esistenze.
Ecco, in questo senso vanno registrate come meritevoli e degne di nota tutte le iniziative che concorrono in questa direzione, come accade per esempio con le intitolazioni di ambienti, sedi e strutture che hanno lo scopo di abbinare luoghi e spazi importanti di comunità al nome delle persone che hanno contribuito in vita alla loro realizzazione e al conseguimento delle loro finalità sociali. Tutto molto utile e significativo, non c’è dubbio, perché operazione collettiva di forte valenza identitaria nel segno della memoria e della riconoscenza. Su un piano più personale, giungono in aiuto le belle espressioni di Sant’Agostino che spesso vengono richiamate in occasione della scomparsa di persone care: “Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono ovunque noi siamo”.
Sono parole che fanno riflettere, e ci invitano a portare dentro di noi, in ogni momento, il senso delle vite di coloro che abbiamo amato. Sempre e comunque, oltre la stessa dimensione fisica di luoghi commemorativi, dentro il ricordo purificato dal dolore, con l’impegno a custodire e a perpetuare i sentimenti, le opere e i giorni del bene condiviso, cercando nel quotidiano di essere migliori, nel segno della gratitudine per tutti i doni ricevuti da chi oggi non è più con noi.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
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