Non è un Natale particolarmente sereno quello che ci stiamo apprestando a vivere. Meglio, assomiglia troppo a recenti Natali, vissuti sotto la cappa di gravi conflitti internazionali. E’ vero, è rispuntata la parola guerra, sono riprese le aggressioni, si stanno alimentando conflitti, continuano a generarsi ostilità fra popoli. Nonostante le tragiche lezioni che arrivano dalla storia, in tante parti del mondo l’uomo non sembra mai sazio di dare parola alle armi, di ricorrere alle violenze, alle vendette e agli stermini, di imporre le proprie ragioni con la forza bruta e cieca, di mettere a rischio la sicurezza internazionale in un pianeta diventato sempre più connesso e interdipendente. Vorremmo vivere un Natale di pace e di serenità, e invece sentiamo che tutto è drammaticamente in discussione, non garantito, non sicuro. Con i nostri sentimenti più autentici, ci sembra di vivere i pensieri afflitti e tristi che hanno ispirato la famosa poesia “Natale” di Giuseppe Ungaretti.
“Natale Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade Ho tanta stanchezza sulle spalle Lasciatemi così come una cosa posata in un angolo e dimenticata Qui non si sente altro che il caldo buono Sto con le quattro capriole di fumo del focolare”.
Il poeta racconta del suo ritorno a casa dal fronte della Prima Guerra mondiale. E‘ rientrato in licenza, ma è stanco e non vuole dimenticare neppure per un istante le atrocità della guerra, tuffandosi tra la gente e nella città in festa. E’ il Natale del 1916 e Ungaretti è a Napoli dove, almeno in questo frangente, è lontano dai paesaggi bellici. Al tempo stesso, nessuna volontà, nessuna possibilità di festeggiare: il poeta invoca solitudine e il suo stato d’animo viene trasmesso anche dall’assenza di punteggiatura del testo poetico. Un discorso unico, composto da segmenti brevi, che trasmette nel lettore grande forza evocativa, e una riflessione amara, profondamente vera, sul cuore e sui destini dell’umanità.
Ci fermiamo su tre parole chiave, a cominciare da quella “stanchezza” che affligge il fisico e la mente dell’autore. Inevitabile, a causa del forte stress che la guerra provoca, in primis a coloro che sono chiamati personalmente a combattere, e a tutti coloro che sono loro malgrado vittime di questa terribile esperienza, presente purtroppo sulla scena del mondo sin dalla notte dei tempi. In questo termine “stanchezza” cogliamo la paura, il disgusto, lo sfinimento, l’inquietudine, l’incomprensione, la fatica immane, la spossatezza totale per i giorni, i pericoli e gli incubi della guerra, per questa affermazione di “homo homini lupus” che sembra caratterizzare le vicende umane, allora come oggi. Vi è compresa l’impossibilità di capire, di dare una ragione a questa fame, apparentemente insaziabile, di sopraffazione e di morte, che miete sempre vittime innocenti, che genera lutti e distruzioni, che provoca danni infiniti. E subentra la nostalgia della pace, quella voglia di stare anche in un angolo, in disparte, ma in silenzio, in tranquillità, senza i rumori degli spari e delle bombe, senza le grida e le offese, senza le notti illuminate dai bagliori delle esplosioni di morte.
Come vorremmo fare anche noi, oggi, sottraendoci per un momento alle immagini televisive che ci portano in casa i teatri di guerra di ogni parte del mondo, con la crudeltà e lo strazio di odi senza tregua, di vendette consumate senza pietà, di popolazioni intere investite dalla fame e dagli stenti, costrette a salvarsi con vere e proprie emigrazioni di massa. Vorremmo dimenticare, almeno per un istante, travolti da questa stanchezza, andando con la mente, con i ricordi e con la nostalgia a qualche Natale vissuto senza questa immanente realtà della guerra, con una serenità, una felicità, un sorriso in più. Non riusciamo a farlo, invece, travolti da questa triste realtà, sotto i nostri occhi, continuamente veicolata dai mass media, apparentemente lontana ma così drammaticamente vicina.
E allora vorremmo almeno stare in disparte, gustarci la bellezza, l’intimità, il tepore e i messaggi di pace e di bontà della Festa della Natività, gustare il “caldo” e il “focolare” dell’amicizia, della fraternità, della convivialità. Insomma, riprendere la nostra idea e i nostri sentimenti in pienezza del Natale, salutando la perenne novità di quel Dio nato povero a Betlemme che ha segnato per sempre la storia dell’umanità e del tempo, prima e dopo Cristo.
Lo possiamo fare, lo dobbiamo fare, sperando ancora in uomini e donne capaci di vita buona e di un futuro migliore per tutti, grazie al loro impegno, alla loro dedizione, alla loro passione per la concordia e l’unità, perché la pace va costruita con la pace, ogni giorno, con le nostre azioni concrete, senza mai stancarsi, senza mai deflettere, senza mai temere. La Festa del Natale arriva a ricordarci tutto questo: oggi, il Natale di Giuseppe Ungaretti è il Natale di tutti noi. Auguri di cuore.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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