Non si tratta soltanto di “ridare, riconsegnare una cosa avuta in prestito, in consegna o in dono, o anche presa arbitrariamente”, come suggeriscono i dizionari della lingua italiana alla voce del verbo “restituire”.
Oggi la questione si fa più delicata e complessa, e vorremmo dire ancora più significativa. Intendiamoci: nessuno vuole misconoscere i significati ormai acquisiti nella consueta prassi linguistica, già di per se stessi da evidenziare per la loro pregnanza. Infatti, restituire, e comunque far avere al legittimo proprietario il bene ricevuto a vario titolo, rappresenta una modalità non proprio scontata al giorno d’oggi.
Infatti, credo in tanti potranno testimoniare il fatto che in più di qualche occasione il bene semplicemente prestato, e non invece donato, non è più ritornato nei tempi e nei modi concordati a chi ne deteneva la legittima proprietà. In pratica, presumendo sempre la buona fede, a causa dei tanti pensieri e delle dimenticanze sempre in agguato, la restituzione non è più avvenuta, e con il passare del tempo la doverosa riconsegna rischia di diventare un autentico miraggio. E’ un fatto non proprio simpatico in verità, che rischia di compromettere la fiducia e di incrinare i rapporti di amicizia fra le persone.
Fin qui i termini classici della parola “restituzione”, che comunque mette tutti nella condizione di fare riferimento a un movimento di attenzione e di considerazione verso le persone che stanno accanto e hanno dato vita a relazioni di dialogo e di corrispondenza reciproca. Inoltrandoci in questa direzione, ci rendiamo conto, ad esempio, che spesso non abbiamo timore a chiedere gentilezze, attenzioni speciali, piccoli piaceri e favori personali a quanti riteniamo a noi legati da vincoli di familiarità e di confidenza.
Ebbene, ci spendiamo molto per ottenere quello che desideriamo e di cui avvertiamo una certa necessità: intendiamoci, tutto perfettamente lecito e nella norma, senza violazioni di legge o anche soltanto delle regole di buon comportamento.
Che cosa succede in tanti casi? Ci allertiamo in maniera molto dinamica, sollecita e persuasiva per ottenere la tanto agognata dimostrazione di stima e di vicinanza da parte dei soggetti da noi interpellati, ma poi ci dimentichiamo della “restituzione”. In pratica, non siamo altrettanto bravi a rendere poi ragione di quanto accaduto a nostro favore, di raccontare il beneficio ottenuto, di far presente come i nostri auspici si siano trasformati in favorevole realtà grazie allo sguardo benevolo e all’azione concreta posta in essere dal nostro generoso interlocutore.
Servirebbe poco in effetti: un passaggio telefonico, un messaggio breve, un resoconto sentito di come la vita sia cambiata, in meglio, proprio grazie all’intervento cortese di chi abbiamo contattato e interpellato caldamente per ottenere la speciale risposta. E non parliamo di restituire il piacere o la gentilezza in senso stretto, nell’accezione del “ricambiare”, opzione sempre possibile e meritoria; sarebbe già molto importante non far cadere nel dimenticatoio gli effetti positivi della presa in carico e della dedizione altrui alla nostre preoccupazioni e alle nostre istanze individuali.
E ci spostiamo su un piano diverso, più ampio, ci accorgiamo di come questa “restituzione” venga spesso a mancare anche nel campo del lavoro di squadra e dell’impegno plurale, a tanti livelli. Non siamo abituati, insomma, alla puntuale verifica collettiva, a “restituire” ai partecipanti all’impresa comune quanto svolto in termini positivi e negativi, a comprendere come soltanto l’analisi dettagliata e completa di come sia stato realizzato un progetto, nei suoi tempi e nelle sue specifiche modalità, possa diventare fattore essenziale, utile e decisivo per migliorare gli standard di produzione di beni e di servizi.
Ma non limitiamoci a un discorso squisitamente economico: anche le attività in ambito sociale, volontariato compreso, necessitano di una sapiente capacità di “restituzione” a tutti e a ciascuno dell’andamento dell’impresa comune, affinché il metodo della programmazione e della costante verifica possa essere adottato come prassi consueta, generatrice comunque di benefici effetti per quanto condividono una progettualità d’insieme. In definitiva, rischiamo di essere tanto attivi e impegnati per il raggiungimento di importanti traguardi, ma in ogni caso siamo poco abituati a capire in profondità le ragioni di successi e di insuccessi, di vittorie e di sconfitte: serve “restituire” a ciascuno il senso profondo delle visioni e delle organizzazioni messe in atto, così da favorire dei sicuri passi in avanti nel modo di procedere più efficace e condiviso per poter conseguire i traguardi prestabiliti.
Ancora, proseguendo in questa direzione, si fa notare spesso in questi anni un ulteriore significato di “restituzione”: è quella di aziende e realtà economiche che operano secondo i canoni della sostenibilità e della sensibilità sociale, attraverso azioni concrete di presenza, sostegno, solidarietà e aiuto al territorio che mirano a “ridonare” alle stesse comunità locali quando da loro offerto alle imprese in termini di risorse umane, utilizzo di beni e servizi, occupazione di spazi e ambienti pubblici.
Esse diventano “testimonial/sponsor” di fatti, percorsi e progetti a forte valenza culturale e sociale, innescando un meccanismo virtuoso di relazioni fra imprenditoria e comunità che fa solo bene allo spirito di identità e di appartenenza e alla qualità della vita dei residenti dell’intera area.
Ecco dunque la straordinaria importanza della parola “restituire”: per dare vita a un nuovo umanesimo capace di offrire speranza, fiducia e futuro a quanti cercano parole e gesti di senso, occorre “ripristinare”, “ricollocare nel posto che avevano”, “ristabilire”, “riportare” in una logica di bene comune i valori di fondo e le cose che contano davvero, per costruire un’umanità migliore. Di sicuro, così facendo restituiremo a tutti la bellezza e la gioia di una possibile vita buona, insieme.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
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