Anche la fortunata serie televisiva di “Doc – Nelle tue mani” deve la storia del suo successo alla pausa involontaria nella memoria di un medico, e alla dolorosa ricerca dei ricordi improvvisamente svaniti da parte dello stesso professionista. Come a testimoniare che la nostra umanità, la nostra stessa identità non possono prescindere dal tema di quello che siamo stati, di quello che appartiene in profondità al nostro passato, di quello che riportiamo al centro del nostro cuore per sentire veramente che quanto accaduto in stagioni e momenti diversi dall’oggi risulta parte essenziale del nostro “io”.
E’ proprio in questo percorso che scopriamo l’etimologia di “ricordare”, che significa nel letterale latino “riportare al cuore”, “rimettere al centro del cuore”, come luogo della verità della nostra persona, dei nostri sentimenti, delle nostre esperienze più vere e significative. Senza dimenticare le immagini di questo tempo passato, più o meno lontano, come metteva in luce un fortunato slogan pubblicitario di anni recenti in cui si diceva “ricordati di ricordare”, alludendo al gesto del “click” fotografico abbinato a un noto marchio internazionale.
E’ proprio così: come annotava in un suo scritto lo stesso cardinale Gianfranco Ravasi, “l’oblio non è una difesa, è precursore della morte. Bisogna ricordare la verità del passato per poter vivere”. “Siamo nati per ricordare”, aveva scritto un altro romanziere, il tedesco Heinrich Böll. Entro questo percorso esistenziale, intrecciato di memorie personali e collettive, si snoda il mistero della vita di ognuno, che non può mai mettere in conto la dimenticanza, il superamento dei ricordi, l’abbandono di quello che è stato, di quello che siamo stati, in sincerità, in pace con noi stessi e con l’umanità che ci circonda.
E’ una questione di notevole rilevanza dal punto di vista individuale, ma anche a livello comunitario. Dopo anni di smemoratezze, infatti, all’insegna di “magnifiche sorti e progressive” dimentiche del passato e tutte proiettate verso un futuro privo di basi e di consistenza, ora fanno tendenza le immagini in bianco e nero, le trasmissioni televisive che ripropongo le trasmissioni di successi dei tempi che furono, i gruppi Whatsapp che in tanti paesi e città aggregano le classi anagrafiche e i vecchi compagni di scuola. E sui territori furoreggiano le pubblicazioni e i libri di ricordi di stagioni ormai estinte con protagoniste le generazioni di ieri, le mostre fotografiche sul “come eravamo” in occasione di particolari ricorrenze in campo ecclesiale e civile, gli appuntamenti, le lezioni e i convegni dedicati alla storia minuta e a quella più alta e ufficiale che hanno contraddistinto il cammino delle realtà locali.
Per non parlare dei tanto frequentati “social”, che rimettono in relazione nell’oggi persone e vicende che sembravano destinate a perdersi nel meandri di un vissuto ormai consegnato a una sorta di estinzione, di ostracismo dal sentire collettivo. Memoria, dunque, tornata giustamente di moda, declinata non a caso come componente essenziale di pc e di smarthphone, riassunta a inevitabile motore dei percorsi più larghi che danno forza e sostanza all’agire collettivo, come senso di appartenenza, come fattore di identità, come orgoglio di radici.
Per fortuna, dunque, dopo anni di dissipazioni e dissolvimento di preziose “consegne” della memoria, sembrano riaprirsi spazi consapevoli e avvertiti della necessità di “ricordare”, nella maniera più alta e significativa. Ci sono le parole: quanto importanti si rivelano i racconti in forma orale di nonni che affidano a figli e nipoti il senso autentico delle loro esperienze di vita, testimonianze formidabili, affettuose e commoventi di lotte, sacrifici e tanto lavoro orientati a migliorare le condizioni di vita e a costruire un futuro migliore di pace e di benessere per tutti! E ci sono i diari, i vademecum personali, le trascrizioni per iscritto, le stampe e le ristampe di frammenti “nero su bianco” che escono dalle biblioteche narranti e viaggianti di ieri, private e pubbliche: grazie a questa “tradizione”, letteralmente “azione di consegna”, entrano nella disponibilità della memoria di generazioni del tempo della modernità, strumenti essenziali per conoscere e interpretare in verità la stagione della contemporaneità.
E ci sono le fotografie, questo immenso repertorio di scatti e istantanee che arriva da lontano per dare la misura esatta, nitida, incontrovertibile e incancellabile, di quello che siamo stati, di quello che è avvenuto e che in ogni caso ci appartiene, di come siamo cambiati realmente, senza possibilità di appelli e di messe in discussione. In una dimensione più ampia, ci sono le ricerche, le storie, i volumi e le iniziative culturali che recuperano il passato di una comunità e lo rendono fruibile e fecondo per l’attualità, per poter declinare al meglio gli stessi percorsi che ne distinguono la sua immediatezza temporale.
Quello che non dobbiamo fare, sicuramente, è rischiare di perdere le nostra memoria: come mette in guardia ancora Ravasi, assomiglieremmo a “quei rampicanti che sono saliti tanto in alto lungo la parete, ma stanno appassendo perché è stata tranciata la loro base”. Come detto sopra, l’oblio, la smemoratezza, la dimenticanza sono precursori della morte, del vuoto, dell’inconsistenza, dell’insignificanza, dell’attesa vana. Convinti di questo, saremo artefici di un nuovo umanesimo, alimentato da salde, sane e virtuose radici, se capaci di dare spazio e tempo alla mente e al cuore che ricorda, che non dimentica, che esprime stima e gratitudine per la vita eloquente di ieri, di sé e degli altri.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
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