Collaboratore di S. Teresa d’Avila nella fondazione dei Carmelitani Scalzi, Dottore della Chiesa , universalmente riconosciuto come mistico per eccellenza, nasce a Fontiveros in Castiglia (Spagna) nel 1542, da una famiglia poverissima. Orfano molto presto del padre, rimane con la madre, laboriosa e intraprendente per far fronte alla fame. Il piccolo Juan viene subito colpito dalla durezza della vita. Provato nel fisico, ma temprato nello spirito, si dà da fare come infermiere per mantenersi agli studi cui si sente portato. Nel 1563 entra nel Carmelo di Medina, prendendo il nome di fra Giovanni di San Mattia; sceglie questo antico Ordine perché attratto dal suo stile contemplativo e dalla sua particolare devozione alla Vergine Maria. Dopo la professione (1564), inizia gli studi teologici e filosofici alla splendida Università di Salamanca, presto riconosciuto come il miglior studente della scuola, per talento e serietà.
Alla fine del terzo anno di studi, viene ordinato sacerdote e, di ritorno a Medina per la celebrazione della prima Messa, incontra S. Teresa di Gesù. Era il 1567. Il 28 novembre 1568, Giovanni della Croce (questo il suo nuovo nome) si trasferisce prima a Valladolid e poi a Duruelo, tra un gruppetto di case coloniche, sperduto nella campagna, dove inizia la Riforma del Carmelo maschile, secondo lo stile di Teresa di Gesù. Giovanni deve subito assumersi il compito di maestro dei novizi e ben presto attira tanti giovani che desiderano condurre una vita come lui.
Nello spazio di pochi anni, pieni di fatiche apostoliche sulle strade assolate o ghiacciate di Spagna, accanto a profonde sofferenze, incredibili ed esaltanti esperienze mistiche, la sua perfezione ascetica, la sua vita d’orazione, la sua elevatezza di spirito e d’ingegno, la vasta dottrina, la profonda interiorità, e soprattutto la viva fiamma d’amore che lo vivificava, fanno di lui non solo un grande santo, ma anche un grande maestro. Scrive poemi e trattati (Salita del Monte Carmelo; Notte oscura; Cantico spirituale; Fiamma viva d’amore) che sprigionano la sua sapienza mistica. Muore a Ubeda il 14 dicembre 1591, a soli 49 anni.
San Venanzio Fortunato, Vescovo
Venantius Honorius Clementianus Fortunatus nacque verso il 530 a Valdobbiadene. Studiò grammatica e retorica nei pressi di Aquileia e diritto a Ravenna. Quando era studente fu colpito da un’infermità alla vista, cui seguì una inspiegabile guarigione, che Venanzio attribuì all’intercessione di san Martino di Tours. Decise pertanto di andare a rendergli grazie presso la sua tomba in Gallia a Tours. Compose tra gli altri l’inno “Vexilla regis prodeunt”, in onore della Croce, che è ancor oggi cantato durante la settimana santa, mentre altri suoi inni sono stati inclusi nel Breviario.
Nel 595-97 venne consacrato vescovo di Poitiers. Negli anni dei suo vescovato, Fortunato fu considerato esempio di temperanza e stabilità. In tutta la sua vita scrisse inni, saggi, elegie funebri, omelie e poesie dedicate alla vita dei santi, in particolare scrisse la storia della vita dei sette santi della Gallia tra cui San Martino e Santa Radegonda. Fu considerato uno degli ultimi poeti gaelici latini e uno dei primi poeti cristiani a scrivere opere in devozione a Maria. La morte lo colse il 14 dicembre probabilmente nel 607, e la devozione popolare lo venera presto come un santo. Sulla sua tomba nella cattedrale di Poitiers è incisa l’iscrizione “Santo e beato” voluta nel 785 da Paolo Diacono, storico dei longobardi, che invocò più volte la sua intercessione.
(Foto: web).
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